giovedì, 16 Maggio 2024

“Sono una vecchia bambina un po’ morta.

Attenti che vi faccio lo scacco del barbiere!

Naples she/they”

Sui social Alice si descrive così. Si sente una settantasettenne anche se anagraficamente ha quattordici anni. E, sempre all’anagrafe, non è Alice ma Alberto.

A firmare Un’Alice come un’altra (Giunti) è un’adolescente, Alice T., seguita dal Centro per la disforia di genere del Policlinico Federico II di Napoli. Nella sua bio si legge che “vive al Vomero, in una casa con una piccola terrazza panoramica dove lascia puntualmente cibo per gli uccellini, suscitando nella madre il terrore che possa attirare i topi. Adora scrivere e giocare a scacchi, le sitcom americane, il cinema horror, Lady Gaga e Achille Lauro. Va pazza per il sushi ma anche per il casatiello. Vive fino in fondo le proprie emozioni e non si vergogna di piangere ma, anche quando cade, non si arrende mai.”

Che sia molto tosta lo si capisce leggendo la sua storia vera: un campo minato da percorrere, sei mesi che devono passare – e sembrano lunghissimi – prima di poter iniziare le cure che le restituiranno Alice. Nell’attesa, però, nel limbo, c’è tutto un calderone di emozioni, sensazioni, batoste da cui la ragazzina è travolta.

Narrato in prima persona con uno stile che non perde mai l’ironia anche nelle situazioni più critiche affrontate da Alice – il bullismo, il disagio psicologico… – questo libro squarcia un velo su un mondo a parte caratterizzato da una presenza/assenza nella nostra quotidianità: il vissuto di Alice, il percorso verso il suo vero essere è infatti più comune di quanto possa sembrare. Lei, però, al suo vissuto interiore – pieno di conflitti e incomprensioni, battaglie e umiliazioni – è costretta a sommare anche ciò che ha subito, insieme a tanti coetanei, durante il lockdown – la DAD, la casa che diventa una gabbia, il coprifuoco, l’impossibilità di avere rapporti sociali.

“C’era tanta paura nel cuore dei miei genitori. Ma la paura è tutto, fuorché un segno d’amore”.

Figlia unica, Alice adora sua madre che ha quasi un sesto senso e riesce a leggerle dentro mente è amareggiata dall’atteggiamento del padre che non smette di considerarla un uomo: “Non dovevo lottare. Non dovevo sfidare mio padre in quel modo. Ero una donna. Ero oltre quel rizzarsi del pelo e quel mostrare i muscoli. Cedendo all’ira nella maniera sbagliata, la violenza l’avrei fatta soltanto a me stessa. Ma se volevo vincere, dovevo avere il coraggio di perdere.

Mio padre e mia madre vedevano due persone diverse, quando mi guardavano. Papà riusciva a vedere soltanto quello che avrebbero voluto fossi.”

Se l’adolescenza è stata di per sé un momento difficile per ciascuno di noi, per Alice ogni passaggio è amplificato. Dimostra un coraggio incredibile, soprattutto quando racconta dei suoi giorni più bui, presa per i capelli dai medici dopo un tentato suicidio.

Dalla pagina Facebook di Alice T.: “Il vaccino più importante, quello che dovremmo fare tutti, è il vaccino contro l’indifferenza. È gratuito e si può fare da soli”.

Sullo sfondo, la “sua” Napoli, l’umanità che la contraddistingue, verace anche in piena pandemia.

L’unico dubbio che rimane dopo aver letto questa bella storia, quasi un inno alla resilienza, è la voce narrativa della protagonista: molto profonda, impeccabile nello stile e, proprio per questo, troppo “adulta” per essere di una quattordicenne. È anche vero, però, che lei stessa afferma di sentirsi un’ultrasettantenne.

Rossella Montemurro

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