sabato, 4 Maggio 2024

Ancora una mostra fuori
regione per il fotografo materano Michele Morelli. Dopo la prestigiosa vetrina
a Stoccarda – dove terminerà il 7 dicembre “Matera, Paesaggi dell’Uomo” – dall’
8 dicembre 2018 al 31 gennaio 2019 due suoi lavori saranno presenti a Fanano
(MO) presso le Cantine degli Scolopi.
Si tratta di “Si sta
come le foglie” e “Matera e le sue cave di tufo” con,
rispettivamente, 25 e 15 opere. L’esposizione è organizzata da “Fanano è
Ufficio Turistico”, “Fanano Incontri d’ Arte e Cultura” in collaborazione
con Comune di Fanano, Comune di Modena, Simposio Internazionale di Scultura su
Pietra e Arti Visive Gallery Matera e col patrocinio morale di
Matera-Basilicata 2019
Nei suggestivi scatti di
Morelli due soggetti insoliti ma carichi di significati: le foglie – metafore
perfette dell’esistenza umana, come già osservò Omero – e gli scenari maestosi
delle cave di tufo rese ancora più imponenti dall’obiettivo del fotografo che
ne ha esaltato i contrasti.
Morelli, fotografo
professionista, è da tempo impegnato nella valorizzazione del territorio e dei
suoi aspetti antropologici. Ha collaborato a numerosi progetti insieme ad altri
artisti nel campo dell’arte contemporanea, musica e cinema, nonché in progetti
editoriali di vario tipo tra cui la pubblicazione di alcuni volumi fotografici
su Matera. Sue fotografie sono inserite in periodici e riviste specializzate
nazionali. Ha esposto in varie città italiane e all’estero. Le sue foto
raccontano il paesaggio urbano, la materia (colori, forme, contrasti), il territorio
in tutti i suoi aspetti.
Nelle
cave di tufo la memoria del pianeta
Qui c’era il mare.
Adesso, sotto il peso del tempo, quella massa di acqua si è pietrificata. Si è
trasformata in natura carsica, severa, decisamente matrigna. Ma, a modo suo, è
materia ancora viva.  Le abitazioni del
centro storico sono costruite con questa pietra docile. Una materia che respira
e tramanda a futura memoria l’epopea di infinite distese di alghe, immensi
banchi corallini lentamente emersi e, poi, tagliati in blocchi ben squadrati,
faticosamente sottratti al sottosuolo per dare forma ad ardite costruzioni
capaci di sfidare nei secoli la forza di gravità. Il tutto senza neppure
l’ombra di uno schizzo di cemento.
Oltre gli archi e le
eleganti volute, al di là del paesaggio urbanizzato, lungo i tranquilli rilievi
grigio-verdi della Murgia, di colpo fanno la loro apparizione enormi pareti
tagliate perpendicolarmente. Affondano nel terreno in un impressionante moto di
discontinuità geometrica e cromatica.
Al primo impatto visivo,
superato il contrasto abbagliante con il paesaggio circostante, dentro le cave
si avverte la vertigine di uno spazio improvviso, più grande delle piazze e più
alto delle abitazioni edificate nella vicina città. Sale un’emozione che
diventa indescrivibile quando si cerca di leggere su quella matrice antica la
sequenza dei gesti misurati impressi da anonimi cavamonti. Si scivola verso lo
spaesamento allucinato se poi si prova a cogliere i respiri profondi ritmati
dai colpi di piccone e imprigionati per sempre nei solchi del tufo.
Attraversare l’instabile
silenzio di una cava, adattarsi gradualmente al lucore delle sue intimità
esposte all’ossidazione naturale, è come essere risucchiati in un’altra
dimensione, dove diventa possibile mettersi all’ascolto degli intimi ingranaggi
che regolano l’universo. Esperienza unica: si sottrae ad uno stato di
subalternità chi si commuove al cospetto di un simile spettacolo. Ma non si
eleva più di tanto se in qualche modo non muove le sue pur deboli forze per
impedire che queste testimonianze, autentici monumenti/documenti dell’infanzia
del nostro globo terracqueo, degradino fino all’umiliazione che le consegna
alla tragica sorte di mute discariche.
 Negli anni Cinquanta anche nelle cave furono
ritrovate a più riprese ossa di mammiferi particolarmente grandi e
difficilmente attribuibili a specie conosciute dei nostri tempi. Prove di
cetacei intrappolati nella notte dei tempi nella calcarenite, l’acqua del mare,
ora pietrificata, testimone dell’ultimo canto di quelle balene affidato alla
nostra sensibilità nelle registrazioni incise sul tufo: sono lì, basta
riavvolgere il nastro della memoria per condividere la loro remota e struggente
bellezza.
 Pasquale Doria
Giornalista Gazzetta del
Mezzogiorno, direttore della rivista “Mathera”
 
Si
sta come le foglie
Le foglie cadute, per
alcuni, sono protagoniste effimere di un’epica silenziosa, per altri, a partire
già da Omero, sono metafore perfette dell’umana esistenza.
Ognuna ha vissuto e vive
il tempo che le spetta, ciascuna assolve ad un preciso compito per poi
consegnarsi ad un “sacrificio” inevitabile, che soggiace a regole non scritte
ma non per questo meno cogenti.
Sono queste solo alcune
delle riflessioni che scaturiscono dalla visione delle foto di Michele Morelli
raccolte in questa mostra dal titolo…..
 Attraverso l’uso di un linguaggio espressivo
diretto e immediato, fatto di immagini semplici solo in apparenza ma in realtà
ricercate, complesse e mai improvvisate o casuali che partono sempre e comunque
da un’idea progettuale, di “costruzione” della visione secondo una precisa
impostazione ed un vero e proprio “metodo di lavoro” che ne caratterizzano da
sempre la personale cifra stilistica ed artistica, l’autore riesce nell’intento
di avvicinare la sensibilità dell’osservatore alla propria, di condurre
l’osservatore in prossimità del proprio mondo interiore.
Le fotografie esposte
producono, in chi guarda, l’effetto di “rallentare” il tempo, premessa
necessaria per chi voglia soffermarsi ad ascoltare con attenzione la “voce”
delle foglie, a decifrare i messaggi che portano con sé e che rimandano
inevitabilmente a tematiche esistenziali e di senso se è vero, come scrive
Tonino Guerra, che “vivere è un respiro 
che sta chiuso anche in una foglia”.
 Franco Di Pede, artista, direttore Arti
visive  gallery Matera             
                                       
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