martedì, 7 Maggio 2024

Un giorno scrissi alla lavagna: “Il denaro”.

Invitai i ragazzi a riflettere in silenzio.

Dopo qualche minuto raccontai loro una storia dei Padri del Deserto.

Un giovane desideroso di entrare a far parte del monastero di Ennaton, fu interrogato da un anziano che voleva sapere fino a che punto era disposto a lasciare il mondo:

  • Se tu avessi tre monete d’oro, le daresti ai poveri?
  • Di cuore, Padre.
  • E se tu avessi tre monete d’argento?
  • Molto volentieri.
  • E se avessi tre monete di rame?
  • No, Padre.
  • E perché?
  • Perché io ho tre monete di rame.

Come potete notare la tentazione non colpisce solo il ricco che accumula senza posa, essa si insinua anche in chi ha tre solo monete di rame.

Se riflettiamo bene è da lì che nasce una catena perversa che è difficile interrompere e che assorbe tutto l’essere umano.

Qoelet dice: “E tornai a considerare quest’altra vanità sotto il sole: il caso di chi è solo e non ha nessuno, né figlio né fratello. Eppure non smette mai di faticare, né il suo occhio è mai sazio di ricchezza: «Per chi mi affatico e mi privo dei beni?». Anche questo è vanità e un’occupazione gravosa.”

Basti pensare al lapidario detto evangelico: “Non potete servire Dio e mammona”.

Non a caso Paolo parla dell’avarizia come una “specie di idolatria”.

L’immagine più bella ce la propone Gesù nel Vangelo di San Matteo: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli.  Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli».

Vi ricordo che nella tradizione giudaica il confronto tra ago ed elefante per indicare una cosa impossibile.

È solo con un miracolo che il ricco si stacca dall’adorazione della mammona: “Impossibile agli uomini, ma possibile a Dio”.

Nicola Incampo

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