domenica, 19 Maggio 2024

Riceviamo e pubblichiamo dal giornalista Emilio Salierno, direttore del Circolo culturale Nicola Panevino di Aliano e autore del libro Il 36esimo confinato. Un prete rivoluzionario nei luoghi di Carlo Levi (Gangemi):

Immaginavo il carcere sulla base di letture e film che raccontano la realtà di chi sconta una pena. Spunti per riflettere su coloro che appartengono al sistema carcerario, sugli agenti penitenziari, di cui a volte ho documentato le condizioni come giornalista, sugli insegnanti che operano per i detenuti, sui religiosi e i volontari che agiscono oltre i cancelli chiusi. Ho considerato quanto sia labile il confine tra il dolore e le legittime aspettative di giustizia – penso alle vittime e ai familiari che portano la croce del torto subito – e i diritti dei condannati, che pur esistono.

Poi in un carcere sono entrato. L’ho fatto con il mio ultimo libro per confrontarmi con alcuni dei reclusi che hanno letto la storia del “prete confinato” ad Aliano. Non ho esitato ad accogliere l’invito di una docente di Lettere, Liliana, che nella Casa circondariale di Matera, da vent’anni, illumina gli spazi della prigionia, andando ben oltre il ruolo che le assegna l’Itcg Loperfido-Olivetti. Insieme a lei, altre sue colleghe, Lidia e Mariangela, della Scuola Media Pascoli, che non stanno lì solo per una graduatoria ed una chiamata, ma per un gesto ancora più nobile che è condividere con passione del tempo con chi sconta una pena. Mi hanno colpito quando hanno detto che non vogliono mai sapere il reato di cui rispondono i loro studenti: “Per noi, qui dentro, sono tutti uguali. Sappiamo solo che dobbiamo essere le loro insegnanti”.

Chi frequenta le carceri per un motivo non legato alla perdita di libertà, è una componente fondamentale su cui si dovrebbe investire di più. Sono testimoni privilegiati di ciò che sta dall’altra parte del mondo libero, sono coloro che, senza filtri e preconcetti, si mettono in ascolto e danno una speranza a chi ha sbagliato e immagina di potersi riscattare. Un osservatorio privilegiato per capire un settore dove c’è tanto da lavorare. Queste persone sono la bussola per indicare che cosa bisogna fare per dare concretezza al tentativo di rieducare non secondo modalità burocratiche.

Ho ascoltato con interesse quando le insegnanti hanno aggiunto: “Noi ascoltiamo alcuni dei detenuti, li vediamo all’opera e raccogliamo sfoghi e sensazioni e ci chiediamo, a volte, come abbiano potuto ritrovarsi in questa situazione!”. Ma quanto è fedele, o solamente condizionato, lo stato d’animo che trapela dai comportamenti dei detenuti all’interno di un ambiente di privazioni che normalmente è il carcere? Se fossero fuori, nella vita normale, sarebbero le stesse persone? Manifesterebbero gli stessi giudizi, gli stessi atteggiamenti di redenzione e di dialogo che dimostrano lì dove sono obbligati a stare? Mentre pensi a questo, arriva uno dei giovani, da anni in carcere, e ti dice: “Sto attento alle parole che pronuncio, al tono che uso, alla tenerezza che non mi vergogno di dare e di avere in un ambiente che tutti pensano malvagio. Questo solo perché non ci hanno mai guardato negli occhi e non conoscono un percorso difficile, tutto in salita, perché una volta dietro queste mura, se vuoi vivere e non solo sopravvivere, devi fare i conti con te stesso, oltre che con gli altri”.

Per chi come me, grazie ad un libro, ha potuto accostarsi alla realtà del carcere, resta la positività del confronto con una dimensione diversa, intima, spirituale. Un po’ come quando viaggi e scopri un popolo lontano, diverso dal tuo, che ti arricchisce e soprattutto ti consente di fare un passo in avanti per esorcizzare il timore dell’ambiente ostile e la paura di chi non conosci o non ti eri mai accorto.

Emilio Salierno

Circolo culturale Nicola Panevino

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