sabato, 11 Maggio 2024

“Chi è il santo?”, una riflessione del prof. Incampo

Vi siete mai chiesti: “Chi è il santo?” Per tracciare la strada della felicità, la Chiesa ci offre non solo insegnamenti universali, ma ci indica anche alcuni esempi concreti: i santi, cioè quegli uomini, quelle donne o quei bambini che hanno trovato la loro...

“Quando abbiamo iniziato a lavorare al cortometraggio, “La buca” era diventata anche un po’ una metafora: quella di un mondo che, con le ragioni della guerra, faceva diventare normale nascondere delle persone o passare delle giornate sotto terra per salvarsi. Per noi era un capovolgimento del senso delle cose ed era un modo per ragionare sul fatto che la guerra è anche questo, è anche accettare qualcosa di disumano. È tragico vedere come nell’ultimo anno le trincee o altre scene siano tornate davanti ai nostri occhi.”

Sono tante le tematiche sulle quali spinge a interrogarsi il cortometraggio “La buca” del regista materano Valerio Montemurro e proprio per la forza di andare oltre la trama, è un lavoro che ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti anche internazionali – tra questi, la selezione al Montreal International History Film Festival.

“La buca” – nel cast Enrico Caravita, Carlo Garavani, Luca Marconi, Lelia Serra ed Eliseo Dalla Vecchia – è ambientato nell’inverno del 1944: gli alleati stanno avanzando e agiscono insieme alla Resistenza. Il partigiano Eugenio chiede a una coppia di anziani contadini di compiere un’azione patriottica.

Come spiega il regista Montemurro, prende spunto da un fatto realmente accaduto: “Questo lavoro è nato da un’idea di Ivano Artioli, fino a poco tempo fa presidente dll’Anpi di Ravenna. Voleva trasformare in film alcuni racconti che aveva registrato nel corso della sua esperienza da presidente dell’Anpi, le testimonianze di una serie di persone coinvolte nella Resistenza nell’area di Ravenna. Ci siamo incontrati e abbiamo cercato di capire se queste storie potevano diventare un cortometraggio o un film. Ho letto alcuni testi che aveva elaborato e mi era sembrato interessante “La Buca” in quanto raccoglieva le esperienze di persone comuni, raccontava la Resistenza attraverso la vita della gente normale e di come questi eventi della grande storia entrassero nella loro case. Mi piaceva questo racconto in particolare perché non prendeva una posizione precisa, non c’erano i buoni o i cattivi, si condivideva invece un “sentire” umano, un accogliere lo straniero, accogliere il nemico perché lo si doveva proteggere in quanto uomo. Quello che nel 2019, data dell’uscita del corto, era un messaggio molto attuale, drammaticamente, poi, è diventato sempre più attuale.

Dal punto di vista della realizzazione cinematografica abbiamo fatto un grande lavoro di adattamento delle testimonianze e del racconto in sceneggiatura. È stato bello realizzare “La buca”, ha partecipato tutta la comunità di Alfonsine, il paese in cui abbiamo girato e da cui proveniva il racconto. Tra l’altro la location era a poche centinaia di metri dal luogo dove è avvenuta questa storia.”

Il corto veicola il messaggio di una solitaria resistenza civile, un messaggio che oggi più che mai deve arrivare a tutti. Qual è la sua opinione?

“Della storia mi aveva colpito il fatto che delle persone normali che non avevano, anche per l’età, voglia di partecipare in modo attivo, schierarsi apertamente nel conflitto, sono invece state costrette a una scelta civile, poste davanti alla decisione se nascondere o meno soldati stranieri in casa propria, a rischio della propria vita.”

“La buca” ha ottenuto riconoscimenti lusinghieri non soltanto in Italia. Se lo aspettava?

“Il successo che il film ha avuto anche lontano dalla Romagna mi ha sorpreso ma in qualche modo era un obiettivo. Sono partito da Matera alla fine del liceo e ricordo che ero entrato in contatto con una storia della Resistenza materana perché la nostra è stata una città liberata pochi giorni prima di Napoli – considerata la prima città liberata d’Italia. Però è una storia che non si conosce perché la Resistenza e la Liberazione a Matera, comunque nel Sud Italia, sono un evento che non è diventato parte dell’identità del territorio, si è svolto in maniera piuttosto rapida. Trasferendomi in Emilia Romagna ho iniziato a capire che cos’è la Resistenza, fa parte dell’identità del luogo. Le commemorazioni per la Resistenza e la Liberazione sono davvero molto sentite e partecipate, mi aspettavo che il film potesse trovare un pubblico nella gente del posto. Le proiezioni che abbiamo fatto in Romagna hanno avuto successo, anche quelle rivolte alle scuole: in questo caso andavano a riattivare dei ricordi dei ragazzi, le storie che venivano raccontate loro dai nonni.

Ma la sfida che mi ponevo era anche un ‘altra: io, regista del film, non ero romagnolo né emiliano e dovevo raccontare una storia che faceva parte dell’identità romagnola. La mia sfida era riuscire a onorare la Resistenza e l’identità forte del posto, ma anche cercare di far capire come la Resistenza abbia dei valori intrinseci, dei valori universali che potevano essere di interesse anche fuori dal piccolo paese dove la storia è stata intercettata, girata e raccontata. È stato un grande riconoscimento il primo premio che il film ha vinto durante un festival di Lecce organizzato in piena pandemia dall’Università degli studi del Salento: in quel momento abbiamo capito che poteva funzionare anche fuori dai confini della Romagna. E quando è stato selezionato in Canada, in un festival di film storici, abbiamo capito che questa storia non aveva confini. “La buca” è un lavoro che è riuscito a unire due aspetti: la partecipazione del territorio e la calorosa accoglienza nei festival e negli ambienti più specifici del cinema.”

Cosa c’è nei suoi progetti futuri?

“Al momento sto lavorando a un progetto triennale, “Rise Up!”, iniziato lo scorso anno quando un’associazione del territorio, vicino Cesena, ha commissionato laboratori di cinema nelle scuole sul concetto dell’identità di genere. È stato interessante capire dai ragazzi cosa intendevano per identità, quali erano le storie che loro volevano raccontare sull’identità e in che modo volevano raccontarle. Siamo partiti da una rilettura del mito di Persefone per cercare tutte le storie da raccontare in un percorso di crescita dall’adolescenza alla fase adulta. L’anno scorso abbiamo realizzato quattro trailer di quattro storie possibili che si sono sfidate in un festival. Abbiamo appena finito il laboratorio di sceneggiatura in cui abbiamo sceneggiato il trailer vincitore e ora stiamo cercando il modo di produrre il corto, che speriamo di poter girare l’anno prossimo e presentare al festival “De Genere”.”

Valerio Montemurro è nato a Matera nel 1988. Nel corso della formazione universitaria ha approfondito gli studi di retorica, drammaturgia e sceneggiatura, in particolare attraverso un periodo di ricerca presso la Senate House Library di Londra e la Warwick University sul teatro e sul cinema politico del periodo thatcheriano. Si laurea in lettere a Bologna. È diplomato alla scuola di cinema Rosencranz & Guildestern di Bologna, esperienza dalla quale è nato “Totem”, il suo primo cortometraggio come regista.

Attualmente risiede a Cesena dove è stato direttore artistico del Malatesta Short Film Festival e dove svolge laboratori, attività di produzione cinematografica.

Rossella Montemurro

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