venerdì, 26 Aprile 2024

Oggi, un uomo disposto a tutto per farsi certificare l’invalidità civile. Ieri, bambino intrappolato in una dinamica familiare distorta in cui è preda di un patrigno violento. La mamma è una ragazza madre, giovanissima e molto bella. Il suo vero papà, lo “scugnizzo”, è un 17enne scapestrato che, oltre a non prendersi nessuna responsabilità, trascorre le giornate a buttarsi via. Dopo qualche anno lei incontra il geometra, l’uomo che diventerà suo marito e, anche, l’orco che segnerà l’infanzia del protagonista.

Sono due i piani temporali in cui si snoda Il peccato originale (Rizzoli) di Massimiliano Palmese e in cui la voce del protagonista, ora sottilmente ironica ora venata di rabbia repressa e dispiacere, accompagna il lettore in una trama che a tratti diventa surreale. E due sono i piani delle patologie da cui è affetto l’io narrante: uno fisico, con problemi ortopedici, l’altro psicologico con disturbi d’ansia. Nomi di medicinali, patologie e diagnosi saranno il leitmotiv de Il peccato originale.

“Facevo atletica, anni fa. Durante una gara cado a terra senza coscienza. Mi portano in ospedale, e lì passo un paio di notti a piangere e urlare. Mi rispediscono a casa per curarmi. Quando sto meglio, dopo vari mesi, provo a ricominciare gli allenamenti. Ma durante un’altra gara mi prendono le vertigini, sto di nuovo per svenire, cerco di tenere duro e rimango in posizione eretta. Mi mettono a letto, chiamano un medico, quello mi seda e mi obbliga a tornare di nuovo a casa. Da quel giorno sono tornato a casa e non mi sono più mosso.”

Da adulto, vive alla ricerca del suo posto nel mondo. Ma finisce sempre per nuotare controcorrente. Passa le giornate rimbalzando tra ASL, INPS, medico di base, ortopedico, psichiatra, commissioni a cui sottopone le proprie cartelle cliniche, radiografie e risonanze magnetiche, per farsi finalmente dichiarare inabile al lavoro. E dopo ognuno di questi incontri si alza, saluta e va a ubriacarsi: “Solo quando bevo non mi sopravvengono i miei disturbi. L’alcol riduce lo stress, la derealizzazione indietreggia. Il mondo e gli umani cambiano i contorni come fossero ubriachi insieme a me. E li vedo sfocati, sì, ma non irreali. Anzi, vestono la propria forma migliore. Ma c’è di più. L’alcol stana da me un’altra personalità. Non solo socievole fino alla sfacciataggine, e acuta e frivola allo stesso modo. Ma anche sicura e ferma. È  un incantesimo che non dura, lo so, se non per una notte. L’alcol mi dà quello che la fata dà a Cenerentola ma solo fino allo scadere della mezzanotte: un abito nuovo, due belle scarpe e l’amore. Qualcosa che sta tra la seconda occasione e la presa per il culo.”

Lo sfondo è quello di una Napoli rarefatta, i “compagni di viaggio” sono persone ai margini, tossici, pusher prostitute –  Lorena, Marlonbrando, Chicco, Sasà, Gino Bingo. Palmese passa dalla cronaca, spesso venata da umorismo, di giornate trascorse a fare file interminabili al ricordo, intimista e ansiogeno, del piccolo che colleziona solo esperienze da dimenticare fino a raggiungere uno sguardo disincantato su scorci di vita. Non ci sono giudizi o moralismi né per il presente né per il passato.

Massimiliano Palmese (1966), nato a Napoli, è autore di poesia, teatro e cinema. Ha pubblicato i romanzi L’amante proibita (2006), con cui è stato finalista al Premio Strega, e Pop Life (2009). Ha firmato una traduzione integrale dei Sonetti di William Shakespeare (2019), ed è autore e regista, con Carmen Giardina, del documentario Il caso Braibanti (2020), vincitore del Nastro d’Argento.

Rossella Montemurro

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