lunedì, 6 Maggio 2024

“Ormai la vedeva così: le donne meridionali potevano amare solo una volta, e quella sola volta doveva durare tutta la vita.  Sbagliare non era concesso. Dovevano mettere al mondo o togliere dal mondo i figli che non andavano bene – e quell’oscuro mondo femminile, fatto di decisioni crudeli e penose, gli uomini facevano finta di non conoscerlo per non essere coinvolti in scelte troppo pesanti. Le donne meridionali, soprattutto le più anziane, vivevano solo per il bene dei mariti e in funzione della loro pace: anche i figli venivano dopo”.

Forse è questo che sta stretto a Caterina: le imposizioni, il dover fare, il dover subire. Caterina è troppo giovane per vedersi solo moglie ubbidiente – e picchiata dal marito – e mamma: i figli dovrebbero essere il bene più prezioso per le madri ma Caterina è un’eccezione.

“(…) Da quando sono diventata madre la mia vita è cambiata, non sono più io… È come se mi fossi persa in questa maternità”.

Caterina si butta tra le braccia possenti e sporche di Nadir, si fa violenza – forse una violenza ancora più grande di quella che subiva da Antonio – e abbandona i due figli piccoli per abbracciare l’illusione di una passione – una passione malata.

“Sua madre le aveva insegnato ad avere paura, e lei a un certo punto, senza nemmeno accorgersene, aveva risposto non avendone più. Era anche colpa sua se si trovava in quella situazione: forse era giusto che tutte le madri avessero delle colpe, che a un certo punto diventassero il capro espiatorio dei propri figli”.

La scordanza (Rizzoli), il romanzo d’esordio della materana Dora Albanese, è un libro dall’impatto emotivo molto forte e dalla fisicità altrettanto marcata. Ci sono gli odori – quelli sgradevoli di un uomo trascurato, di una stalla sporca, del sangue –, le sensazioni – su tutte, quella di un seno dolorante pieno di latte che però non può più sfamare nessuno – i suoni – il pianto sconsolato di un bambino che vuole essere allattato.

La scordanza è ambientato negli anni Ottanta in Basilicata anche se è pieno di retaggi e credenze che da sempre accompagnano questa terra magica e straziante.

Le donne alternano le preghiere del rosario alle formule per scacciare il malocchio; gli uomini sono pronti a uccidere per uno sguardo di troppo; nel bosco, nascoste tra i calanchi, le fattucchiere preparano filtri d’amore. E poi c’è un ruscello, una “fiumara”, che per chi l’attraversa segna il confine invisibile tra dentro e fuori, tra vita e morte, tra ricordo e dimenticanza.

La scelta estrema di Caterina si può comprendere ma non giustificare. E La scordanza fotografa situazioni che non sono poi così rare in certi piccoli paesi lucani dove la questione femminile è purtroppo ancora tutta da affrontare.

Dora Albanese è a tratti spietata nella descrizione di una storia che travolge e commuove. Una storia, scomoda e bellissima, che non lascia indifferenti e che rimane dentro a lungo. Soprattutto se si è donne.

Come è nata la trama del suo romanzo, La scordanza?

“Nasce da una storia vera, dai racconti di molte donne e poi da un fiume immaginario che molte anziane credevano di poter attraversare dopo morte”.

Lei è mamma. Quanto è stato difficile descrivere una madre probabilmente disturbata, sicuramente disturbante coma Caterina?

“Non è stato difficile, è stata una prova dura certamente. Caterina è disturbata sì ma dai luoghi comuni”. 

Non ha avuto timore di esagerare, di essere stata troppo dura nella descrizione di Caterina?

“No, ho voluto raccontare l`oscenità di una madre che appunto decide di uscire fuori dalla scena della maternità per riappropriarsi di un altro sé”.

Fatta eccezione per il piccolo Eustachio e nonno Vinicio, gli uomini del suo romanzo sono violenti, padri padroni addirittura orchi se pensiamo a Nadir. Dagli anni Ottanta – quando la violenza tra le mura domestiche rimaneva confinata in famiglia- a oggi – con i casi di femminicidio all’ordine del giorno – sembra che non sia cambiato molto. È così?

“Certo che è così. Non è cambiato nulla purtroppo. Gli uomini continuano a credere di poter usare le donne a proprio piacere e di poter usare sulle donne la stessa violenza di sempre”.

Nel suo romanzo c’è lo sfondo di una Basilicata arcaica, popolata da credenze e fascinazioni alla De Martino. Quanto si sente legata alle suggestioni del suo Sud?

Il sud, il mio sud mi pervade. È grazie a questa fascinazione che scrivo. Grazie al paesaggio interiore che conservo”.

Perché ha scelto di ambientare La scordanza in un paese immaginario della Basilicata e non in un paese che esiste realmente?

“Muggera è un paese immaginario ma che mette assieme tutti i paesi più importanti per me: Matera Stigliano la Murgia…”.

A chi si rivolge La scordanza?

La scordanza si rivolge a chi non ha paura di leggere che il dolore puzza e che per stare vicino a chi soffre ci vuole amore”. 

Dora Albanese è nata nel 1985 a Matera ma vive a Roma. Da anni collabora con Rai Uno. Nel 2009 ha pubblicato la raccolta di racconti Non dire madre.

Rossella Montemurro
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