sabato, 27 Aprile 2024

Apt Basilicata, si apre la terza edizione di Fucina Madre

Dalla ceramica all’arte orafa, dal legno all’uncinetto, dall’arte digitale al recupero di antiche tradizioni manifatturiere. E’ un vero e proprio mosaico dell’eccellenza lucana quello che 44 artigiani, maker e designer, provenienti da ogni parte della Basilicata,...

Oggi vorrei invitarvi a fare una riflessione sul vero Dio, il Dio cristiano, molte volte ricordato come il “Dio tappabuchi”, come diceva spesso Dietrich Bonhoeffere lo vorrei fare partendo dalla parabola: “Il Cammello del Sufi”.

Prima di tutto chiariamo chi sono i Sufi.

L’ipotesi più probabile è che Sufi indichi l’abito di lana (sūf) tradizionalmente indossato dai primi asceti musulmani in segno di povertà e di timor di Dio, il cosiddetto “vestito della pietà” menzionato nella sura del Limbo (7,26).

Ecco la parabola.

Un discepolo arrivò a dorso di cammello alla tenda del suo maestro sufi, smontò ed entro nella tenda. Fece un inchino profondo e disse: “E’ così grande la fiducia in Dio che ho lasciato fuori il mio cammello senza legarlo, perché sono convinto che Dio, l’Onnipotente, l’Eterno e il Giusto difende gli interessi di coloro che lo amano e lo temono”.

“Va’ subito a legare il cammello, sciocco!” gridò il maestro.

“Dio non ha tempo da perdere facendo per te quello che tu sei perfettamente in grado di fare da solo”.

Questo apologo a me ricorda la fedeltà al proprio dovere e mostra come la grazia deve unirsi alla fede e la fede alle opere.

Il “Dio tappabuchi”, non è il nostro Dio, non è il Dio dei cristiani, ma un idolo magico.

E’ bello rendersi conto che Dio ci vuole interlocutori!

Dio desidera che l’uomo si muova verso di Lui con libertà.

E ce lo dice chiaramente la lettera di San Giacomo “Se qualcuno dei vostri, uomo o donna che sia, ha bisogno di cibo e vestiti e voi gli dite: «Arrivederci, e che Dio ti benedica! Riscaldati e mangia quanto vuoi», ma poi non gli date quello che gli occorre, a che gli servono le vostre parole?

Vedete, perciò, che non basta soltanto avere fede. Dovete anche agire bene per dimostrare che lʼavete. La fede che non si rivela con le buone opere non è affatto fede: è una cosa morta e inutile.”(Giacomo 2, 15-17).

Facciamo attenzione perché oggi di fronte all’eccesso di programmazione e ad una tecnologia sempre più veloce, può sorgere il desiderio della fiducia magica, dell’abbandono al disimpegno.

Accogliamo quindi il monito del maestro sufi!

Nicola Incampo

Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica

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