lunedì, 17 Giugno 2024



“Le vicende che racconto sono realmente accadute, realmente esistite le persone, autentiche le esistenze narrate. Ho dato però ai protagonisti parole che forse non hanno mai detto e pensieri che non hanno mai pensato.
È una storia che mi è stata consegnata e che sono stato chiamato a custodire. Per questo ho costruito un luogo dove potesse essere ospitata. In fondo ognuno di noi ha bisogno di un luogo dove la propria storia possa essere adagiata, per poterla guardare e per poterla dimenticare”.  Lo afferma Paolo Miorandi parlando di L’unica notte che abbiamo (Exòrma).
Di notte, un uomo alla finestra ascolta voci che tornano da oltre il buio. Sono le voci che si levano dalle vecchie foto che un’anziana vicina di casa gli sta mostrando da giorni. Frammenti di storie concatenate, voci distinte nella memoria che si avvicendano e a volte si mescolano, vibrano con una frequenza propria.
E l’anziana signora, poco prima di tramutarsi anche lei in un pulviscolo di parole, consegna all’uomo quel sedimento inestimabile perché unico, e fragile, perché ne diventi il custode.
Da ciascuna fotografia, ogni volta che ne viene esibita una nuova, si alzano le voci dei morti, ma non parlano tra di loro e nemmeno con i vivi, monologano, chiusi ciascuno nella bolla del proprio ricordo. Una staffetta serrata e densa. Ognuno torna sul luogo della propria ferita e la esibisce come per chiedere perdono.
Nel ricordo, e nel racconto, l’anziana signora cerca tra le mura di un paese senza vita la ragazza che ha abbandonato il figlio –suo padre– poco dopo averlo messo al mondo, in una montagna ritornata italiana dopo la Grande Guerra. Rivede la maestra, a cui il bambino è stato affidato, incapace di dichiarare il suo bisogno d’amore. Ripercorre la via dei campi con la nonna materna, per lungo tempo suo unico sostegno affettivo. Rivive il rapporto conflittuale con il padre, un sagace perdigiorno di paese, intimamente e indelebilmente ferito dalla tragica esperienza della ritirata di Russia, che ha eletto i bar a propria dimora.
Quella dell’anziana signora è una deposizione che non risparmia le accuse, ma che allo stesso tempo va in cerca di prove per una possibile assoluzione dei protagonisti. È anche una deposizione di corpi sofferenti e mortali, spogliati via via dei propri sintomi, gettati ai margini del tempo e divenuti sacri proprio in ragione della loro inermità.
Paolo Miorandi è nato e vive a Rovereto in Trentino, dove lavora come psicoterapeuta.

Ha pubblicato: “Verso il Bianco. Diario di viaggio sulle orme di Robert Walser” (Exòrma 2019); “In basso a sinistra. Un viaggio in Cile” (2003); “Ospiti” (2010); “Nannetti” (2012) da cui è stato tratto il cortometraggio “Libro di sabbia”, realizzato con il regista Lucio Fiorentino; “Lessico di Hiroshima” (2015) portato in scena con musiche originali composte da Roberto Conz ed eseguite da Marco Dalpane. Ha lavorato inoltre come sceneggiatore ed è stato co-autore di cortometraggi.

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