venerdì, 19 Aprile 2024

A volte certe persone ti capitano tra capo e collo, nel mio caso io capito a loro tra capo e collo. Poi però se ne vanno dritte dritte nel cuore e lì stanno beate, incuranti di chiunque altro entri in quel luogo affollato, perché sanno che il loro posto l’avranno sempre. Anzi, sanno bene che più si è e meglio è, per questioni di caciara giocosa e per ragioni di esercizio alla pulsazione: un cuore allenato sa amare in maniera rigorosa e sportiva senza stancarsi e con degli affondi da atletica leggera sorprendenti.

Tutti credono che in fondo se stai lontano dagli occhi stai pure lontano dal cuore, ma sbagliano, e di grosso. Se c’è una cosa che non pesa sugli affetti è la distanza: lei si colma in un istante al vibrare di una voce per telefono, di un abbraccio caloroso dopo tempo infinito, di una vecchia foto in cui tutti sorridono felici.

Rivive nell’odore di vacanze straordinarie in posti straordinari con emozioni condivise che tracciano solchi profondissimi, quelli che continui a battere nel tempo a ogni passeggiata.

Che sia nuvolo, che sia sereno.

È così che il tuo girotondo, quello della vita, si allarga sempre di più, con le mani concesse morbidamente in presa tenace: si può andar via liberamente e ci si può aggrappare liberamente. Quella mano è lì per quello, e sa farlo perché a sua volta ne ha un’altra che fa lo stesso con lei.

I girotondi sono giochi di bambini che si uniscono sapendo che il lupo può apparire e che si va tutti giù per terra, ma subito dopo ci si rialza e si torna a girare. I girotondi sono giochi di adulti che non smettono di girare e non smettono di prendere le mani, tenere duro, lasciar andare.

Ne ricordo uno bellissimo in Kenya in un villaggio piccolo. Una scuola nata dalla caparbietà di un giovane uomo, Henry, e dalla forza combattiva di alcune maestre sorridenti a capo di uno stuolo di bambini scalzi o vestiti come capita, o meglio come si può.

Quell’anno eravamo arrivati in 5 in quella scuola, come vacanzieri. Siamo andati via moltiplicati come adulti, svuotati delle nostre miserie quotidiane al cospetto di quei sorrisi bianchi messi in fila ordinata per il semolino del pranzo.

Abbiamo fatto un girotondo, in due lingue, prima in Swahili, poi in italiano e, ammettiamolo, i bambini erano un milione di volte più bravi di noi a ripetere quello che non conoscevano. 

Le nostre lingue infatti pronunciando lo swahili si intrecciavano e incespicavano tra le risate dei bimbi che ci prendevano in giro e noi nel dubbio di che cavolo avevamo potuto dire al posto delle parole della canzoncina che tentavano di interpretare.

Alla fine siamo andati tutti giù per terra, su quella terra rossa di fuoco che ospita le meraviglie più incantate, percorsa da uomini e animali in egual misura, arida e generosa al tempo stesso, polverosa e impastata sui muri delle casette in legno e fango.

Cose così ti fanno fare il girotondo per sempre, siamo andati in 5 in quella scuoletta, siamo usciti in un girotondo unico che dura da anni e che, a distanza di molti chilometri, continuiamo a  cantare unanimi negli spazi dei cuori che ci siamo scambiati.

A volte riusciamo a vederci per qualche giorno. Le piccole incursioni nel quotidiano reciproco che possiamo concederci servono solo a farci ripassare le parole di quel girotondo, perché le mani, unite, non hanno bisogno di ripassare.

Quando penso ai miei viaggi penso al mio futuro, al senso di appartenenza al mondo che mi restituiscono, ai miei occhi che imparano a guardare confini infiniti smettendo di cercarne i limiti.

Quando penso ai miei viaggi penso alla cura dei ricordi, alla necessità della nostalgia, all’esigenza di pulsare spogliata da ogni schema a spasso per l’umanità.

In questo momento di libertà sopite che urlano per rivendicare se stesse, con la potenza del rombo di un aereo che non può decollare per problemi alla torre di controllo, i miei viaggi si sono contratti in una dimensione più interiore e trovo il mio “io” nelle cartoline più belle della mia ricerca fuori di me, nel poco di mondo che ho visto, nei denti bianchi dei bambini kenioti, nelle chiazze perfette delle giraffe, nel tetto in banano, nelle finestre di ogni palazzo di città, nelle carezze date o non date, negli errori, nelle mancanze, nella poesia del mare e delle albe, nelle pratoline selvatiche, nelle formiche. Nelle farfalle colorate e in quelle notturne intorno alle luci.

É lì, a portata di mano: é nell’interezza di ogni singolo giorno in cui ti sei preso cura di te e di chiunque.

Anche senza conoscerlo.

Auguri Sandro, un po’ amico, un po’ padre, un po’ cazzaro gaudente.

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