sabato, 27 Aprile 2024

Apt Basilicata, si apre la terza edizione di Fucina Madre

Dalla ceramica all’arte orafa, dal legno all’uncinetto, dall’arte digitale al recupero di antiche tradizioni manifatturiere. E’ un vero e proprio mosaico dell’eccellenza lucana quello che 44 artigiani, maker e designer, provenienti da ogni parte della Basilicata,...

In questo libro c’è il dolore, il disagio, l’urlo di una sofferenza gratuita che rimane muta e inascoltata.

Il marchio (Fandango, traduzione di Tina D’agostini, a cura di Anna Ruchat) di Mariella Mehr è claustrofobico e disturbante, profondo e ossessivo, narrato con una cura particolare per i dettagli. L’incipit è ad effetto, cattura o respinge il lettore: Anna è nella serra, tutta presa dalle sue piante carnivore che tratta come se fossero esseri umani. È completamente affascinata dal loro modo di nutrirsi, le attenzioni che rivolge sono ben diverse dalla fredda professionalità con cui si relaziona ai pazienti – è infermiera in un centro di cura in Svizzera. Quella serra è per Anna tutto il proprio mondo. Anche a livello affettivo, lei si limita ad un qualcosa di puramente fisico: l’amore con cui nutre le piante è negato agli uomini.

Anna e Franziska, una zingara e un’ebrea accomunate dalla marginalità, da una situazione al limite, sono le protagoniste di questo libro che a tratti è un pugno allo stomaco.

A metà tra incubo e realtà, le incontriamo chiuse in collegio claustrofobico e ostile: sono ricordi che riemergono in Anna – sotto forma di sensazioni – dopo aver incontrato Gertrud, una sua nuova paziente, nella quale riconosce i tratti di un angelo sterminatore del passato.

“I globi oculari di Franziska sotto le palpebre si muovevano in continuazione. Dietro al fronte si radunava il popolo degli spettri. Lodemann osservava le palpebre contrarsi, la bocca infantile nella faccia chiusa. Dietro la fronte va in scena il passato, come sempre. Lei prende Franziska per mano e già si torna al manicomio, dove Franziska stava distesa sotto la croce, davanti al Sofferente. Cosa c’era prima dell’urlo bisbiglia il popolo degli spiriti, ma non serve. Mamma, aveva gridato, mamma, e aveva creduto che le venisse strappata la testa. (…)”.

L’arrivo di Gertrud fa ripiombare Anna in giorni nebulosi e vicende crudeli. Non è facile seguire i suoi pensieri, calarsi di volta in volta nelle situazioni sgradevoli che hanno contraddistinto la vita delle due ragazze. Il marchio è una storia forte che attinge molto dal vissuto della Mehr: l’autrice, da bambina, fu davvero rinchiusa in un orfanotrofio.

Nata a Zurigo nel 1947. Di etnia Jenisch, la Mehr ha subito persecuzioni in nome del programma eugenetico promosso dal governo svizzero nei confronti dei figli appartenenti a famiglie nomadi. Da bambina piccolissima fu sottratta alla madre e assegnata in periodi diversi a varie famiglie e a tre istituzioni educative. Lo stesso accadde quando fu lei a diciotto anni ad avere un figlio, che le fu tolto. La rabbia contro le istituzioni sviluppò in lei uno spirito ribelle che la condusse a subire quattro ricoveri in ospedali psichiatrici e quasi due anni di carcere femminile. Dal 1975, come giornalista, ha scritto molti articoli di denuncia. Negli ultimi vent’anni ha vissuto prevalentemente in Toscana. Ha pubblicato diversi romanzi e quattro libri di poesia. In traduzione italiana: il libro autobiografico Silviasilviosilvana (Guaraldi 1995), i romanzi Il marchio (già pubblicato da Tufani nel 2001), La bambina (Effigie 2006) e Accusata (Effigie 2008), le raccolte poetiche Notizie dall’esilio (Effigie 2006), San Colombano e attesa(Effigie 2010) e Ognuno incatenato alla sua ora (Einaudi 2014). Con Il marchio, Fandango Libri comincia la ripubblicazione delle opere narrative di una delle maggiori autrici europee del Novecento, paragonata per grandezza a Paul Celan, Nelly Sachs e Antonin Artaud. Insieme a Labambina e Accusata questo primo romanzo compone La trilogia della violenza, tre pannelli netti e crudeli per raccontare, tra sogno e realtà distorte dalla sofferenza, una storia di esclusione: l’accanita persecuzione di un’etnia nel cuore della ricca Svizzera del secondo Novecento.

Rossella Montemurro
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