domenica, 28 Aprile 2024

Pubblichiamo il testo dell’omelia che Mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, Arcivescovo di Matera-Irsina e Vescovo di Tricarico, ha pronunciato nella Cattedrale di Matera in occasione dell’Anniversario del 27° Congresso Eucaristico Nazionale a tema  “Torniamo al gusto del pane, per una Chiesa eucaristica e sinodale” e che si concluse con la celebrazione eucaristica presieduta dal Santo Padre:

Carissimi,

ci ritroviamo nella nostra Basilica Cattedrale per rendere grazie a Dio e meditare, ancora una volta, la Parola del Signore rivolta all’intera Chiesa italiana, convenuta a Matera per celebrare il XXVII Congresso Eucaristico Nazionale dal 22 al 25 settembre 2022. Evento ecclesiale che fu concluso dalla presenza di Papa Francesco e dal suo forte messaggio.

Faremo memoria del passaggio di Gesù per le nostre strade, del suo incontrarci nelle nostre chiese, tenendo presente quanto la liturgia della Parola di oggi ci ha detto.

Il Libro di Esdra, dal quale è tratta la prima lettura, ci aiuta a riflettere sulle vie che Dio sceglie per guidare la storia dell’umanità tutta, compresa quella parte che non lo conosce, ma che da Lui è sempre amata, cercata, perché accolga la salvezza, vivendo fraternità e comunione per sanare le ferite di ogni uomo. Ritornare al gusto del pane, Cristo Eucaristia, per ritornare fratelli.

Abbiamo ascoltato che Dio “suscitò lo spirito” di Ciro, re di Persia, e qualche versetto più avanti che: “A tutti Dio “aveva destato lo spirito”, affinché salissero a costruire il tempio del Signore che è a Gerusalemme”. E’ interessante notare come Dio si serva di Ciro per effondere il bene sul suo popolo. Ciro non è un ebreo, quindi è un non credente, eppure, diversamente dagli ebrei, appartenenti al Popolo di Dio, il Signore agisce sullo spirito di Ciro nonostante il Re fosse inconsapevole. Di una cosa siamo certi: Dio ci meraviglia sempre. Infatti se è vero che l’azione di Ciro è azione umana, nello stesso tempo la percepiamo quale azione di Dio.

 Questo racconto ci aiuta a capire quanto Dio si immerga nella storia dell’uomo per trasformarla in storia di salvezza. In questa logica comprendiamo perché Dio si è fatto uomo come noi, addirittura in Gesù Cristo, cibo di vita eterna, Eucaristia, affinché l’umanità smarrita, ammalata e dispersa, ritornasse in se stessa, salendo a Gerusalemme per ricostruire il Tempio. Il Tempio è il luogo dove risuona l’unica voce di Dio per tutti gli uomini, è il luogo della preghiera che viene rivolta all’unico Signore, è il luogo della comunione e della fraternità dove tutti gustano il cibo di vita eterna. Esattamente in sintonia con il tema del Simposio dei Cammini Giubilari Sinodali che si sta portando avanti: “La costruzione della fraternità e della pace”.

Il Congresso Eucaristico dello scorso anno ha visto convenire a Matera il popolo santo di Dio, proveniente da ogni parte d’Italia, accompagnato dai pastori, per ricostruire il Tempio del Signore, ritornando al gusto del pane. E’ stata una pagina nuova della storia della salvezza. Anche chi non era pienamente consapevole ha subito una tale attrazione che lo ha indotto a rivisitare la sua vita, rimodulando pensieri e comportamenti. A distanza di un anno sono tante le testimonianze di chi, anche lontano da Dio e dalla Chiesa, ha sentito la vicinanza e l’amore paterno del Signore. Una vicinanza inaspettata.

Potremmo ritenere il Congresso Eucaristico un nuovo esodo. Quanto abbiamo vissuto non è stato voluto solo dagli uomini ma benedetto da Dio che lo ha favorito accompagnando e fortificando la volontà umana nel perseguire quel fine. A volte capita che siamo proprio noi, fedeli e consacrati, a contrastare l’agire del Signore, impedendo la comunione e contribuendo a minare seriamente la fraternità. Forse perché pensiamo di essere possessori della verità che spesso non conosciamo, o ci nascondiamo dietro parametri che mirano a perseguire solo l’interesse personale e non il bene della Chiesa

Il Congresso Eucaristico di Matera è stato il compimento di una profezia perché nella Chiesa e nel mondo è sempre il Signore a muovere il suo Spirito servendosi anche di uomini come il Re di Persia.

Fa la volontà di Dio chi crede che bisogna continuare a salire verso Gerusalemme per incontrarsi con i fratelli a volte dispersi, ammalati nel corpo e nello spirito, feriti da ingiustizie e incomprensioni, bisognosi di essere guariti, per ritornare a sentirsi figli dell’unico Padre, quindi fratelli.

Il Congresso Eucaristico di Matera rimarrà nella storia della Chiesa italiana e mondiale, come un momento di grazia durante il quale si è manifestata la gloria di Dio, vestita di umiltà e povertà, aprendo strade per una nuova evangelizzazione fatta di prossimità, dell’ascolto di ogni gemito e sospiro, capace di accogliere e accompagnare nella preghiera, nell’intimità con Dio, nel silenzio.

Da quei giorni abbiamo imparato che non basta semplicemente partecipare alla S. Messa e ricevere l’Eucaristia. L’Eucarestia vissuta illumina la vita (vedi vangelo). Chi vive l’Eucaristia non solo impara a camminare e navigare di notte nei momenti più tristi che la storia gli riserva, ma diventa faro anche per gli altri. Ecco perché non basta semplicemente fare luce in qualche modo, bensì permettere alla luce di permeare così tanto mente e cuore perché siano loro a irradiarla nelle vene profonde del mondo. Questa luce è Gesù, presente e vivo nell’Eucaristia che celebriamo e del quale ci nutriamo.

Nell’Eucaristia che stiamo celebrando stasera non siamo convenuti semplicemente per ricordare quanto abbiamo vissuto un anno addietro, bensì per celebrare il memoriale di Cristo che continua nel tempo ad essere per ognuno di noi cibo di vita eterna e bevanda di salvezza. Per quanto importante sia stata la visita e il messaggio di Papa Francesco (sarebbe opportuno ogni tanto rileggerlo e meditarlo), molto più importante è stato l’invito a “ritornare al gusto del pane. Per una Chiesa eucaristica e sinodale”.

Questo significa che il Congresso Eucaristico di Matera, a distanza di un anno, va colto come una lampada che illumina relazioni e situazioni che fanno parte della storia personale e comunitaria. In poche parole siamo chiamati a dare corpo al nostro camminare insieme come Chiesa, per ritornare ad illuminare, abbandonando la sottile tentazione che è l’intimismo religioso, fatto di devozioni senza anima, di precetti da osservare, per ritornare ad illuminare. Altrimenti, come abbiamo ascoltato da Gesù, anche quello che credevamo di avere ci verrà tolto.

“Nessuno, presa una lampada, la nasconde con un vaso o la pone sotto un letto, ma [la] pone sul lucerniere, affinché quelli che entrano vedano la luce”. Gesù dice ai discepoli, e stasera ad ognuno di noi, che la luce non è stata creata per rimanere nascosta. Siamo chiamati a mostrare con la nostra vita la luce che ci abita a quanti stanno sulla soglia della chiesa o restano fuori. Non si evangelizza con le belle parole. La fede si incarna, si vive, parla da sola, non ha bisogno di essere spiegata o dimostrata.

Presiedere, celebrare, partecipare, vivere l’Eucaristia significa, ogni volta, far risplendere dentro di noi la luce di Cristo che continua a guarire le ferite personali e quelle dell’umanità intera, ricostruendo la fraternità di figli, minata seriamente da invidie, gelosie, maldicenze, zizzania, mancanza di perdono. La Chiesa, frutto della Pasqua, testimone del Regno del suo Signore, è il segno concreto della fraternità che nel piano di Dio si estende a tutta l’umanità. Tutto è iniziato con il sacramento del Battesimo che abbiamo ricevuto e che ci ha inseriti nel Corpo di Cristo. Ma il luogo privilegiato della nostra unione con Cristo e i fratelli avviene esattamente, in modo speciale, nella celebrazione eucaristica domenicale.

La celebrazione eucaristica rompe ogni muro e frontiera di rivalità e contese, di violenza ed egoismo. Se questo non avviene significa che rimaniamo fortemente schiavi di riti, incapaci di incidere nella vita. E’ un vero e proprio sacrilegio. Questo vale per i laici ma anche per i consacrati e le consacrate.

Abbiamo sentito Gesù nel vangelo che ci ha detto: “Guardate dunque come ascoltate. [A] Chi infatti ha, a lui sarà dato. E [a] chi non ha, anche ciò che ritiene di avere sarà tolto da lui”. Cosa significa? Gesù si riferisce in modo particolare a chi ha ricevuto la luce e che dovrebbe essere irradiazione di questa luce. Parla a quanti, come i discepoli, potrebbero ritenersi salvi perché annunciano la Parola che hanno ricevuto. Il Signore ci dice che noi non siamo i possessori della Parola ma siamo posseduti dalla Parola. Ecco perché conclude che verrà tolto anche ciò che si crede di possedere.

Carissimi, dall’8 al 15 settembre 2024 la città di Quito, capitale dell’Ecuador, si vestirà a festa per il 53° Congresso Eucaristico Internazionale: nell’intreccio variopinto delle sue strade coloniali ospiterà migliaia di persone provenienti da tutto il mondo. Nei giorni scorsi, come ben sapete, a nome dell’episcopato italiano, ho partecipato alla sessione plenaria, dando il contributo mio e dell’esperienza della nostra Chiesa locale, a supporto della preparazione.

La fraternità umana al centro della riflessione congressuale non resti un sogno ma trovi il modo di concretizzarsi a partire dalla celebrazione eucaristica. Non dimentichiamo che, come ci ricordava S. Giovanni Paolo II, la Chiesa vive dell’Eucaristia e l’Eucaristia ha il potere di guarire il mondo. Gesù nell’istituire l’Eucaristia ha concluso dicendo: “Fate questo in memoria di me”. E noi sacerdoti ripetiamo queste parole in ogni celebrazione. Ma cosa vuol dire? Continuare a celebrare la S. Messa in modo ritualistico oppure vuol dire altro? Ebbene, significa esattamente fare memoria dell’amore di Gesù Cristo che ha dato il suo corpo e il suo sangue perché noi fossimo sanati ed avessimo la vita eterna.

Ogni giorno allora, per mezzo dell’Eucaristia, veniamo trasformati per essere fonte di misericordia, perdono, giustizia, pace, custodendo e proteggendo il creato. Fra poco, al termine della celebrazione, usciremo dalla Chiesa e cammineremo per un breve tratto per le strade della nostra città dietro Gesù Eucaristia. Ma ogni volta che termina la S. Messa veniamo inviati a portare quanto abbiamo vissuto nei luoghi dove viviamo, da condividere con le persone che incontriamo.

Chiediamo a Gesù, che ha dato la sua vita per noi, di farci gustare la vita nell’Eucaristia perché il mistero celebrato diventi un agire in suo nome che intride la quotidianità.

La Madonna e tutti nostri santi protettori ci sostengano e aiutino in questo nostro camminare verso la vita eterna. Amen.

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