martedì, 30 Aprile 2024

Approvati i progetti di videosorveglianza di 11 Comuni del Materano

Sono stati approvati nel corso della riunione del Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, tenutasi lo scorso 24 aprile e presieduta dal Prefetto di Matera, dott.ssa Cristina Favilli, undici progetti di videosorveglianza presentati dai Comuni di...

Riceviamo e pubblichiamo dal movimento lucano “Non una di meno”:

Siamo tristemente abituate a vedere sconti dedicati alle donne in palestre e centri estetici, serate a tema nelle discoteche e nei locali. Iniziative commerciali che non fanno altro che distrarci da quello che quotidianamente accade: ogni 72 ore una donna viene uccisa. Come facciamo a chiamarla festa? Cosa c’è da festeggiare? La giornata internazionale dei diritti delle donne ha uno scopo preciso: ricordare le conquiste politiche e richiedere a gran voce diritti basilari di cui donne e comunità marginalizzate ancora non godono. Come nodo materano e lucano del movimento Non una di meno vogliamo ribadire che la giornata dell’8 marzo non può e non deve diventare l’ennesima bandierina del sistema neoliberista per rendere commercializzabili i nostri diritti. E vogliamo ribadirlo aderendo allo sciopero transfemminista, per far capire al governo che non siamo noi a dover reggere sulle spalle il welfare di questo paese, che sui nostri corpi decidiamo noi, che non siamo oggetti, che non siamo vittime. Affinché sia chiaro che se ci fermiamo noi si ferma il mondo. Il “Global gender gap report” del 2023 parla chiaro: per colmare la disparità di genere in Italia mancano esattamente 131 anni. Dovremmo vivere fino all’anno 2154 per tastare con mano la parità tra i generi. Questo se a contrastarla iniziassimo oggi, ma come vediamo il nostro governo non ha alcuna intenzione di prendere in carico questo problema sistemico. Come Non una di meno Matera stiamo lavorando per accorciare queste tempistiche bibliche e portare in piazza quanto di più sano ci sia in democrazia: la resistenza e la manifestazione del dissenso nei confronti di poteri oppressivi, razzisti, xenofobi, omolesbobitransfobici e abilisti. Questa consapevolezza che ci logora e dà rabbia ci aiuterà a costruire insieme un percorso transfemminista in Basilicata, che segni una svolta per la nostra terra costantemente – ed erroneamente – definita dormiente. Scioperare e manifestare l’8 marzo è un atto radicale per domandare un legittimo ottenimento di parità sociale. Per questo ci vediamo venerdì 8 marzo alle 16.00  a Matera in Viale Loperfido (Serra Venerdì) per partire in corteo e attraversare le strade della nostra città e, insieme, renderle finalmente sicure. Le strade attraversate dal corteo saranno: Viale Loperfido (spiazzo del supermarket da Uccio a Serra venerdì), Viale Europa, Via Aldo Moro, Via Don Minzoni, Via Lucana, Via Roma, Via XX Settembre, Via Annunziatella, Via Marconi (arrivo nello spiazzo scuola Marconi). La polizia locale è già stata avvisata dalla presenza di tale corteo. La nostra rabbia sarà la miccia del cambiamento.

Appello nazionale per lo sciopero lanciato Non una di meno

Dopo l’enorme manifestazione del 25 novembre, con più di mezzo milione di persone in piazza, l’8 marzo scioperiamo contro la violenza patriarcale in tutte le sue forme. Scioperare l’8 marzo significa trasformare la potenza del 25N in blocco della produzione e della riproduzione, attraversando i luoghi dove la violenza patriarcale si esercita ogni giorno: nelle case e sui posti di lavoro, nelle scuole e nelle università, nei supermercati e nei luoghi di consumo, nelle strade e nelle piazze, in ogni ambito della società. Perché se ci fermiamo noi si ferma il mondo! Vogliamo opporci al Governo che tratta la violenza maschile sulle donne e di genere come problema securitario. L’irrigidimento del Codice Rosso è un’operazione che ripropone un approccio emergenziale e punitivo senza agire sullo scardinamento dei meccanismi che riproducono la società patriarcale. Scioperare l’8 marzo significa mostrare come l’ascesa delle destre in Italia e a livello globale abbiano reso ancora più dure le politiche familiste, razziste e nazionaliste che alimentano sfruttamento e violenza. Lo vediamo nelle misure del Governo che estende i contratti precari, in un paese in cui gli stipendi medi riferiti all’inflazione non aumentano da 20 anni. Lo vediamo nell’erosione del welfare e nello smantellamento e privatizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, nella chiusura dei consultori pubblici e nello sgombero di quelli autogestiti, nella cancellazione del reddito di cittadinanza la cui platea era a maggioranza femminile, nella costante precarizzazione abitativa, nella difficoltà di accesso ai servizi e nel sovraccarico del lavoro di cura gratuito e malpagato che pesa soprattutto su donne, lesbiche, froce, persone bisessuali, trans, queer, intersex, asessuali, su persone povere, anziane, migranti e seconde generazioni, con disabilità, minori, sexworkers e detenute. Lo vediamo nelle politiche sessiste e razziste per la natalità del Governo, che spingono le donne “bianche e italiane” a fare figli per la patria, quando una madre su 5 è costretta a lasciare il posto di lavoro dopo il primo figlio non riuscendo a conciliare ritmi familiari e lavorativi, mentre le famiglie omogenitoriali vengono discriminate e attaccate. Lo vediamo nell’aumento del controllo fiscale su lavoratorx domesticə che sopperiscono a un welfare pubblico assente, nel moltiplicarsi di CPR e nel decreto Cutro, che continuano a restringere la libertà di movimento delle persone migranti e a intensificare il ricatto del permesso di soggiorno e di un lavoro sfruttato, sempre più povero e senza tutele. Lo vediamo nelle linee guida di Valditara sull’educazione, che riproducono un sapere patriarcale e coloniale, e nella scuola del merito che trasforma il diritto allo studio per tuttə in un privilegio per pochə mentre vengono precarizzatə sempre più le condizioni lavorative di maestrə, insegnanti, ricercatorə e docenti. Se questo scenario punta a dividerci, a differenziare tra Nord e Sud con il progetto di autonomia differenziata, ad approfondire le disuguaglianze, isolare le nostre istanze, per noi scioperare contro il patriarcato significa invece intrecciare le lotte per una trasformazione radicale della società. Scioperare contro il patriarcato significa scioperare contro la guerra come espressione massima della violenza patriarcale, e rifiutare le politiche di guerra che si fanno sempre più pervasive nelle nostre società. Lo abbiamo visto con lo scoppio della guerra in Ucraina, che ha intensificato un’ideologia nazionalista e militarista dell’ordine e della disciplina che rafforza le gerarchie di genere, e che reprime e mette a tacere le nostre lotte. Scioperare contro il patriarcato significa reclamare l’immediato cessate il fuoco su Gaza per fermare il genocidio, la fine dell’apartheid e dell’occupazione coloniale in Palestina. Rifiutiamo il pinkwashing sostenuto da Israele, che promuove la partecipazione di donne e persone queer all’esercito come orizzonte ultimo dell’emancipazione, perché sappiamo che l’unico modo per promuovere una lotta transfemminista di liberazione collettiva è opporsi al progetto coloniale e genocida dell’oppressore sionista. La nostra solidarietà si rafforza attraverso i legami transnazionali che ci permettono di creare un fronte che travalica i confini: ci schieriamo al fianco dell3 palestinesi che resistono e lottano per la propria esistenza e per la propria autodeterminazione, con chi diserta lo stato di Israele, con chi in tutto il mondo, dall’Africa, all’Occidente, al Medio Oriente all’America Latina, fa della liberazione della Palestina la propria lotta. Insieme siamo più forti, non è solo uno slogan. Vogliamo interrompere il lavoro nelle nostre case, nelle fabbriche, negli ospedali, nei magazzini, nell’università e nelle scuole, negli uffici e nelle mense, senza distinzioni di categoria. Vogliamo estendere lo sciopero oltre i confini del lavoro salariato, costruendo pratiche collettive di astensione dal lavoro per le tante forme di lavoro precario, autonomo, nero, informale, non riconosciuto. Vogliamo boicottare le infrastrutture civili che promuovono il genocidio in Palestina e l’invio di armi. Quanto valgono le nostre vite? Quanto valgono le vite di tutte quelle soggettività che non rientrano nel progetto “Dio, Patria e Famiglia” di questo Governo? Quanto vale il nostro tempo e il lavoro che in quel tempo siamo in grado di svolgere? Poco. Quasi niente per coloro che ci sfruttano e ci opprimono. Tantissimo per noi che vogliamo tornare a urlare: se le nostre vite non valgono, noi scioperiamo! Scioperiamo dalla produzione e dalla riproduzione di questo sistema, scioperiamo dai consumi e dai generi!

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