mercoledì, 24 Aprile 2024

Il presidente Bardi: “Ha vinto la politica delle cose concrete”

“È stata premiata la politica delle cose concrete. I cittadini sono stanchi di ascoltare parole, vogliono vedere i fatti, e quando li vedono premiano. La condivisione di programmi con il campo allargato può dare nuovi risultati, realizzando le iniziative e i processi...

Mondo interno e mondo esterno in Tasmania (Einaudi), il nuovo romanzo di Paolo Giordano, si sfiorano, si confondono, si intrecciano senza soluzione di continuità.

A quattro anni da Divorare il cielo (Nel contagio (2020) e Le cose che non voglio dimenticare (2021) sono entrambi incentrati in qualche modo sulla pandemia), l’autore che con La solitudine dei numeri primi (Mondadori) vinse il Premio Strega e il Premio Campiello Opera Prima, torna con un romanzo profondo, ricco di spunti, narrato con quella ricercatezza stilistica che è un tratto distintivo di Giordano.

P.G. (l’io narrante è un chiaro alter ego di Giordano) è uno scrittore ed è anche un fisico, sta attraversando un momento di impasse con la moglie: “Dopo tanti anni, Lorenza e io non eravamo solo una storia d’amore in crisi, eravamo anche un’infinità di altri aspetti inestricabili: un sistema di abitudini consolidate, una rete di relazioni sociali, un apparato burocratico. Dovevamo continuare a funzionare. E continuare a funzionare ci costava pochissimo.”

La crisi che sta vivendo con Lorenza (ma la crisi di cui racconta questo romanzo non è solo quella di una coppia, forse è quella di una generazione, sicuramente la crisi del mondo che conosciamo – e del nostro pianeta) si riverbera inevitabilmente su ogni aspetto della sua vita. Per non farsi annientare dall’ansia, P.G. fa di tutto per farsi inviare dal giornale per il quale scrive, con la scusa di scrivere pezzi, a eventi ai quali non avrebbe mai partecipato, meglio se dall’altra parte del mondo. Intanto, vorrebbe scrivere un libro sull’atomica e si immerge in ricerche mastodontiche per recuperare materiale.

La storia passata e l’attualità con gli attacchi terroristici sono il collante del groviglio interiore del protagonista, attorniato da personaggi singolari – Novelli che studia la forma delle nuvole, Karol che ha trovato Dio dove non lo stava cercando, Curzia che smania, Giulio che non sa come parlare a suo figlio. Le sue “fughe” continue e la tendenza di P.G. a rimuginare sull’apocalisse sono quasi un voler esorcizzare la paura della precarietà, l’incertezza del futuro. È come se concentrarsi su una minaccia più grande, la fine del mondo, possa distogliere da quelle più piccole, ma molto più vicine, che poi è il senso del titolo del libro. Tasmania, infatti, perché in caso di apocalisse, gli è stato suggerito, è questo in luogo in cui dovrebbe rifugiarsi: ” È abbastanza a sud per sottrarsi alle temperature eccessive. Ha buone riserve di acqua dolce, si trova in uno stato democratico e non ospita predatori per l’uomo. Non è troppo piccola ma è comunque un’isola, quindi piú facile da difendere”.

In Tasmania sono tantissime le citazioni, i rimandi colti, le cronache di ieri e di oggi rievocate in un romanzo splendido, sicuramente uno dei migliori del 2022.

Paolo Giordano è nato a Torino nel 1982. Ha un dottorato in fisica ed è autore di cinque romanzi: La solitudine dei numeri primi (Mondadori 2008, Premio Strega e Premio Campiello Opera Prima), Il corpo umano (Mondadori 2012), Il nero e l’argento (Einaudi 2014 e 2017), Divorare il cielo (Einaudi 2018 e 2019) e Tasmania (Einaudi 2022). Ha scritto per il teatro (Galois e Fine pena: ora) e collabora con il «Corriere della Sera».

Rossella Montemurro

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