martedì, 23 Aprile 2024

“Resta la sensazione di non farcela, sempre. Sento ancora il vuoto oltre le mie spalle. Il vuoto sotto di me. Nella mia testa le idee proliferano. I sentimenti assumono spesso un’intensità eccessiva: amo e odio alla follia, urlo vendetta, rido come una matta. Mi sento una nullità  o, al contrario,  sovrastimo le  mie  doti.  E  in  ogni  caso,  ho  un  pessimo  carattere.  Le  mie posizioni sono estreme, provocatorie, e non riesco a trattenermi dall’esprimerle. Da quel 26 di luglio, l’unico desiderio che riesco a formulare, soffiando sulle candeline dei miei anni, lanciando una moneta nell’acqua, è che non mi accada più.”

“Quel” 26 luglio Fuani Marino si lanciò nel vuoto. Aveva un marito che l’amava, una bimba di quattro mesi e una vita tutto sommato agiata. Ma aveva anche un male dentro che la consumava, un buio nell’anima che l’aveva resa cieca e impermeabile a tutte le emozioni positive. Non aveva speranza né fiducia nel futuro e l’unico spiraglio era farla finita. Accanto a sé aveva una rete familiare forte da un lato, dall’altro probabilmente troppo debole per accettare la situazione di Fuani fino in fondo e farla ricoverare in clinica. Perché, anche se siamo nel 2019, se c’è un tabù che proprio non vuole crollare è la malattia mentale: se ci fratturiamo un arto andiamo in ospedale, accettiamo le cure. Quando a fratturarsi è la nostra anima, oltre a trincerarci nella solitudine e nel silenzio (quasi che l’“omertà” possa preservarci dal giudizio altrui), sia noi sia chi ci è vicino spesso siamo refrattari a chiedere aiuto.

“Andammo al mare, la sensazione era quella di aver disimparato a nuotare. Solo a distanza di anni, ho capito che l’idea di non saper più fare le cose era in realtà dovuta all’assenza dell’energia per farle. Rivedo la me di allora. Rivedo mia madre, il disorientamento di entrambe.  Quando si sta così c’è bisogno di molta assistenza.  La stessa che si darebbe a un bambino piccolo. È possibile riceverla da chi ti vuole bene, ma se devo dirla tutta, nella fase acuta credo che la cosa migliore, sia per il paziente che per chi assiste, sia il ricovero”.

Fuani sopravvive al suicidio, è una miracolata. Il suo corpo ne esce devastato, sono necessari mesi di ospedale e una fisioterapia continua e dolorosa. Ad avere la peggio è il braccio sinistro (lei è mancina), sottoposto a diverse operazioni per trovare un minimo di funzionalità. La sua psiche, border line, viene però “distratta” dal nuovo status e le cicatrici rimaste sul corpo diventano un mappa per provare a capire cosa è successo: perché il motivo di quel gesto ha bisogno di essere tirato fuori, di essere compreso pienamente. Fuani è una giornalista e, con l’approccio del cronista, indaga in se stessa. Lo fa con l’obiettività e la freddezza di un professionista, si butta nel passato, nell’infanzia, nel rapporto con la madre e con i coetanei.

In Svegliami a mezzanotte (Einaudi), memoir intenso e coraggiosissimo, non ci sono le sue emozioni, lei non si compatisce, non si piange addosso. Si esamina, si analizza, cerca spiegazioni attingendo ai personaggi illustri (ad esempio Virginia Woolf, David Foster Wallace, Primo Levi, Cesare Pavese, Sylvia Plath) e letterari (Emma Bovary e Anna Karenina) che hanno cercato nel suicidio una via d’uscita al mal di vivere.

È davvero invidiabile la forza che ha trovato nel raccontare, la sua voce è spiazzante, la sua lucidità lascia interdetti.

“(…) La bambina sta bene, non vedi? Devi solo prendertene cura, dicevano.  Adesso hai tutto. Ma forse io non ero programmata per avere tutto: so fronteggiare meglio le sciagure. Gli eventi di segno positivo mi spiazzano. Avevo desiderato quella bambina con tutta me stessa, e adesso che ce l’avevo fra le braccia non sapevo che farmene. Mi sentivo schiacciata dal peso della responsabilità. Stavo male e me ne vergognavo. Ero incapace di occuparmi di mia figlia, non volevo e non sapevo farlo e questo rappresentava una lettera scarlatta che portavo impressa sulla fronte”. Scrive che ciò che è accaduto a lei potrebbe capitare a chiunque: non è una minaccia, è la realtà che si preferisce ignorare ma che Fuani sbatte in faccia con sincerità, mettendoci con le spalle al muro. E facendoci capire che, nonostante tutto, rimane la speranza di uscire dal tunnel.

Fuani Marino è nata a Napoli nel 1980. Dopo gli studi in psicologia, è diventata giornalista collaborando a lungo con il «Corriere del Mezzogiorno». Nel 2017 ha pubblicato il romanzo Il panorama alle spalle (Scatole Parlanti). Suoi articoli e racconti sono usciti su «Rivista Studio», «il Tascabile» e altre riviste.

Rossella Montemurro
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