venerdì, 26 Aprile 2024

Riceviamo e pubblichiamo l’intervento dell’avv. Vincenzo Santochirico (Direttivo Nazionale Federculture):


Conviviamo con la pandemia da quasi un anno.

Superata la prima fase, oscillando fra il disorientamento per l’imprevisto e l’ottimismo di maniera, accanto ai progressi in campo sanitario e scientifico, sono emersi e cresciuti due opposti filoni di pensiero.

Uno tende a leggere la pandemia come uno spartiacque fra due epoche diverse, per cui nulla sarà come prima, cambieranno stili di vita, modelli di sviluppo, consumi, forme di organizzazione della società, relazioni fra le persone. C’é chi si spinge anche a ritenere ormai inconciliabili benessere e democrazia, pronosticando come sempre più imminenti modelli di società finora delineati dalla letteratura distopica o fantascientifica.

L’altro, più tranchant e sbrigativo, considera la pandemia come una sorta di parentesi, destinata a chiudersi a breve con il vaccino e l’immunità di gregge, per cui tutto tornerà presto come prima.

Non si tratta di una sofisticata disputa teorica. La differente interpretazione ha una rilevanza molto pratica e concreta, particolarmente avvertita in campo culturale, il più devastato e penalizzato dalla pandemia.

Le attività culturali (spettacolo dal vivo, cinema, musei, mostre, editoria, ecc.) sono state le prime ad essere sospese o inibite e le ultime a essere ripristinate.

Proprio l’acutezza della crisi in questo campo obbliga, anche al di là delle diverse letture della pandemia, a cogliere questo momento di stasi per un check up completo e una diagnosi veritiera, che permetta di radiografare criticità, limiti ed errori, ma soprattutto di prefigurare scenari per il futuro, scongiurando il rischio della rassegnazione al peggio o dell’attesa messianica della rinascita [ad un’operazione di verità e al recupero dello spirito migliore del Paese per una forte ripresa, invita Ferruccio de Bortoli nel suo ultimo libro “Le cose che non ci diciamo (fino in fondo)”].

Qualche traccia di consapevolezza e impegno si coglie anche in Basilicata e merita di essere segnalata anche per indicare direzioni verso cui muoversi.

Una prima è data dalla delega alle attività di promozione culturale per il rilancio e lo sviluppo socio-economico della Basilicata da parte del Presidente della Regione alla Consigliera  regionale Gerardina Sileo.

Dopo molti anni, in regione, la cultura esce così da un indistinto, eterogeneo, spesso accidentale magma di competenze affidate al già sovrimpegnato Presidente, acquista una autonoma e specifica fisionomia, é affidata ad una rappresentante politica, che potrà proporre, scegliere, decidere e con la quale sarà possibile dialogare e confrontarsi, se necessario anche scontrarsi, ma che costituirà comunque un centro specifico di imputazione di volontà e responsabilità.

Le aspetta un impegno straordinario: gli attuali strumenti regionali, comprese leggi recenti e promettenti, come quelle sullo spettacolo dal vivo (l.r. 37/2014) e sul patrimonio culturale (l.r. 27/2015), sono privi di visione, progettualità, orizzonti, in alcuni casi prigionieri di un’inspiegabile impasse (come la Lucana Film Commission); scarse le risorse umane dedicate; imperante il peso burocratico; debole e frammentato il tessuto organizzativo; farraginosi e lenti i meccanismi; senza verifiche vere e sostanziali i risultati; assenti gli indirizzi per il cinema e il digitale.

Come Federculture lanciammo l’allarme già tre anni fa, presentando in Fondazione Sassi il rapporto annuale sulla cultura con il presidente Cancellato e proponendo << l’elaborazione e l’adozione di un piano strategico culturale regionale, che abbia la visione e l’ambizione di considerare la cultura come un asset fondamentale dello sviluppo della regione, indicando strategie, selezionando obiettivi, individuando strumenti, proponendo politiche, favorendo cooperazione e integrazione, assegnando funzioni, insomma costruendo un quadro d’insieme in cui collocare organicamente intenti, azioni, misure >>.

Così come avvertimmo che, oltre a << rendere sempre più fluidi, veloci, automatici i meccanismi di verifica dei progetti, assegnazione dei finanziamenti, erogazione dei contributi>>, occorreva <<anche prestare nuova e più mirata attenzione ai soggetti che si candidano ad attuare le politiche culturali>>, per le quali, pur apprezzando il volontariato e l’associazionismo, bisognava puntare sulle “imprese culturali” che avessero <<competenza, professionalità, abilità organizzativa, capacità di investimento>>, favorendone la formazione e il consolidamento <<con interventi ad hoc, diretti non solo alle attività, ma proprio ai soggetti e al loro assetto gestionale e patrimoniale>>.

Dal governo regionale dell’epoca fu manifestato interesse, ma tale rimase, archiviando rapidamente anche la proposta degli “Stati generali della cultura”.

Oggi che la sospensione del presente e l’incertezza del futuro acutizzano fragilità e criticità, vogliamo sperare che sia diverso, che alla novità istituzionale della delega corrisponda anche una nuova stagione delle politiche culturali in Basilicata.

Ve n’é bisogno poiché, se è vero, come ricorda Rampini nel suo ultimo libro, “I cantieri della storia“, che dopo ogni guerra vi è la ricostruzione, dopo ogni depressione arriva l’età dell’ottimismo e del progresso, è bene e saggio non attendere fatalisticamente che ciò accada, ma ideare e promuovere il tempo a venire.

Qualche altro segnale lo abbiamo.

Il Presidente della Fondazione Matera-Basilicata 2019, Michele Somma, di illuminata e lungimirante tradizione imprenditoriale, ha annunciato, qualche settimana fa, dopo il parziale rinnovo con l’ingresso del nuovo Sindaco di Matera, Domenico Bennardi, e il nuovo Rettore dell’Università di Basilicata, Marcello Mancini, che il CdA <<è ora al lavoro per dare alla Fondazione un nuovo indirizzo e una nuova governance che possa garantire il rilancio di un percorso>>. E’ un’opera necessaria poiché la Fondazione attende ancora un bilancio complessivo (sugli effetti più che sull’attività svolta) e una prospettiva, non potendo consentirci che la Capitale europea della cultura in terra lucana sia relegata nella sfera del ricordo. Se ne dovrebbe discutere, rifuggendo dalla stanca replica della contrapposizione fra apologia e recriminazione. E’ un passaggio ineludibile, ancor più oggi che la crisi pandemica ci obbliga a ripartire con rinnovate mappe e diversi mezzi.

Ancora, pochi giorni fa a Potenza è stato presentato un “Piano triennale per la cultura” (70 pagine dense di ricognizioni, analisi, indirizzi, obiettivi, artefice un infaticabile costruttore di progetti e iniziative, come Giampiero Perri), che, al di là della condivisione e valutazione dei contenuti, si contraddistingue e fa apprezzare per la proiezione pluriennale, la visione d’insieme, l’interdisciplinarietà, la pluralità di competenze, la forte correlazione con la trama urbana, culturale (istituzionale e non) e sociale della città.

Un modello replicabile a livello comunale per chiunque voglia investire seriamente in cultura, abbandonando l’improvvisazione dell’evento e abbracciando il metodo della programmazione.

Da parte loro, i soggetti che in questi anni hanno acquistato ruolo e consapevolezza possono e devono dare un contributo di idee per imboccare percorsi nuovi.

Nei mesi scorsi Mariateresa Cascino, fondatrice e animatrice del Women’s Fiction Festival, si è meritoriamente cimentata nella predisposizione del testo di una nuova legge regionale sulla cultura, in sostituzione dell’obsoleta e aleatoria l.r. 22/88, quale terzo pilastro della politica culturale regionale (oltre quelle sul patrimonio culturale e lo spettacolo dal vivo). Abbiamo iniziato un preliminare confronto che dovrà ampliarsi e incrociarsi con il lavoro in corso in regione.

Pubblico e privato devono fare ciascuno la propia parte.

Il primo rinunziando a ogni tentazione assistenzialista, paternalistica, clientelare e scegliendo la programmazione, la certezza dei tempi, la chiarezza e semplicità delle regole, la previsione e tempestività delle risorse.

Il secondo definendo esattamente cosa vuole essere e fare (associazioni amatoriali, consulenti, imprese culturali, ecc.) e la dimensione che vuole avere (monadi, reti, accorpamenti, ecc.), sapendo che non può esserci tutto per tutti, che la frammentazione e moltiplicazione all’infinito di soggetti e istanze nuocciono alla qualità e sterilizzano gli effetti produttivi della spesa pubblica.

Non si parte da zero, ci sono processi già avviati, altrove più avanzati, da noi più crisalidi che farfalle, con alcuni recenti esperimenti (come i project leaders del 2019) ancora in attesa di vaglio e sbocco.

Insomma, già coesistono crepe del passato e spiragli dell’avvenire e, pur se attualmente quasi irretiti dalla pandemia, si colgono fermenti e spinte che tendono a disegnare scenari differenti, incamminandosi lungo sentieri inesplorati.

Farlo con coraggio e consapevolezza adesso è il modo migliore per affrontare le incognite della realtà odierna, evitando il ristagno e lanciando sfide al tempo che verrà.

Come dicono Giaccardi e Magatti nel loro recentissimo libro “Nella fine é l’inizio” la pandemia ci aiuta a leggere il nostro tempo e costituisce l’occasione per rendere il nostro vivere insieme migliore di prima, perché la fine di un mondo diventi il nuovo principio.

Parole d’oro se applicate alla cultura!

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