sabato, 27 Aprile 2024

Apt Basilicata, si apre la terza edizione di Fucina Madre

Dalla ceramica all’arte orafa, dal legno all’uncinetto, dall’arte digitale al recupero di antiche tradizioni manifatturiere. E’ un vero e proprio mosaico dell’eccellenza lucana quello che 44 artigiani, maker e designer, provenienti da ogni parte della Basilicata,...

 “(…) Molte persone, in Occidente, non credono a questa stigmatizzazione, spesso perché la parola sembra implicare che chi ha le mestruazioni sia emarginata o le si scagliano pietre. Ma non è questa la stigmatizzazione. È l’incapacità di parlare con chiarezza e disinvoltura del proprio corpo. È sentire il bisogno di scusarsi quando si parla di mestruazioni. È chiedere sottovoce a un’amica un assorbente invece di farlo apertamente, come faresti se ti servisse un cerotto. È mantenere il silenzio sui crampi intensi che hai invece di parlare francamente del dolore che provi, come faresti se avessi mal di stomaco dopo aver mangiato cibo guasto. È non avere accesso al linguaggio che ti fa sentire sicura o semplicemente normale quando parli del tuo corpo, invece di sentirti strana o a disagio. […] Non poter parlare del proprio corpo è la forma di oppressione più efficace. Questo impedisce alle donne di parlare con fiducia di ciò che accade loro a livello biologico e, ancor peggio, impedisce di affrontare i problemi medici che possono manifestarsi in concomitanza. Crea una cultura in cui tutti pensiamo che le mestruazioni non siano poi così fastidiose e che se dici qualcosa in proposito deve essere perché cerchi di attirare l’attenzione su di te”.

Questo testo, firmato due anni fa da Kiran Gandhi – la musicista indo-americana che nell’aprile 2015 corse la maratona di Londra per 42,195 chilometri in maniera deliberatamente provocatoria: durante il ciclo, senza tamponi interni né assorbenti – rende bene il senso del libro Questo è il mio sangue. Manifesto contro il tabù delle mestruazioni (Einaudi, Super Et Opera Viva, traduzione di Margherita Botto) di Elise Thiébaut.

È quanto mai vero che, nel Terzo millennio, le mestruazioni rappresentano forse l’ultimo tabù. Si parla di tutto, spesso senza censura, eppure ancora non si osa nominarle in una sorta di sospensione tra imbarazzo e vergogna.

Con intelligenza e ironia la Thiébaut prova a scalfire questo muro di silenzio che da sempre aleggia attorno alle mestruazioni: lo fa con un titolo d’impatto e con contenuti che, in un mix di antropologia, storia, ecologia, medicina ed esperienza personale, affrontano in maniera particolareggiata questo “fenomeno misterioso circondato da leggende, superstizioni, reticenze e stereotipi”.

Disagio e dolori – ad esempio ancora oggi, sottolinea l’autrice, si riscontra un ritardo di almeno nove anni nella diagnosi dell’endometriosi – sono due costanti per un gran numero di donne che nel corso della vita in media per 2400 giorni hanno avuto le mestruazioni.

La Thiébaut ha voluto prendere di petto questo tabù usato contro le donne, e trasformare il lamento sulle “nostre cose” in canto liberatorio: “(…) Prima che gli speculatori di ogni sorta assumano definitivamente il controllo delle nostre cellule, dei nostri corpi, dei nostri desideri e dei nostri destini, è arrivato il momento di ricollocare l’umanità al centro delle nostre vite mestruali. Questa sarà forse la prima rivoluzione al tempo stesso sanguinosa e pacifica. Ma potrebbe essere, chissà, la madre di tutte le battaglie future per l’emancipazione delle donne e degli uomini”.

Élise Thiébaut (1962) è una giornalista. È autrice di una raccolta di racconti e di molti libri dedicati ai diritti delle donne. È membro dell’associazione Avocats sans frontières France.

Rossella Montemurro

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