venerdì, 26 Aprile 2024

“Perdersi è la chiave di tutto. L’inizio di ogni cosa, anche quella che non pensavamo esistere, figuriamoci potesse accadere. Un bivio sbagliato sulla nostra rotta ed ecco rotti i nostri piani. Ma non è sempre un male, anzi non lo è mai. La storia racconta di conquiste illuminate da un lampo di genio o di scoperte avvenute proprio per qualche grado di troppo lungo direzioni intraprese. Tra tutte? Il cavallo di Troia, Ulisse, l’incazzatura di un dio, l’Odissea. O le Americhe di Cristoforo Colombo che davvero hanno fatto bestemmiare tutti i santi e madonne, Nina, Pinta e Santa Maria incluse. Piani piani piani, sempre con le architetture del poi, del futuro, per gestire il tempo a venire. Vogliamo controllare ieri oggi domani, illusionisti di noi stessi, circensi, pagliacci, mica scimmie. (…)”

Basta il titolo, Troppa notte intorno a me (Sperling & Kupfer), per toccare con mano la forza introspettiva del nuovo romanzo di Carlos Solito: pieno di metafore, di rimandi colti, di grandi tormenti e con un io narrante, Dante, che deve affrontare un dolore atroce, la perdita di un figlio.

È un illustratore di 35 anni, Dante, che ha lasciato il Sud per trasferirsi a Milano. Dopo essere piombato in un incubo per la morte del figlio, torna nei luoghi della sua infanzia, sui monti Picentini in Irpinia. L’incontro con Virgilio, uno speleologo che vive nei boschi, gli permetterà di scendere nelle grotte più affascinanti d’Italia. Ascoltando il suo “compagno di viaggio” e abbandonandosi a una, seppure sommaria, elaborazione del lutto, Dante compie prima di tutto un viaggio dentro sé stesso, a contatto con il buio e il Silenzio delle Grotte diventate ormai tutt’uno con quello che prova.

In Troppa notte attorno a me la speleologia diventa salvifica, le tenebre interiori, grazie alle parole, vengono dissipate per lasciar spazio a un nuovo inizio: “scendere” all’inferno significa avere il coraggio, poi, di trovare la strada per darsi un’altra possibilità, nonostante tutto. Virgilio prova a sollevarlo, cerca di strapparlo in qualche modo da quell’impasse: “Datti in pasto al dolore – gli suggerisce – solo così addomesticherai quello che ora credi essere un mostro”.

Attorno alla figura del protagonista e dell’esploratore Virgilio, che lo accompagna al bene nella cornice di una natura epigea ed ipogea, nelle pagine sfilano luoghi selvaggi, vertiginosi, pieni di silenzi primevi, minacciosi, di potente bellezza, assolutamente primitivi. Dalle Alpi agli Appennini fino ai grandi massicci montuosi delle isole – per boschi, acrocori calcarei, altipiani carsici – Troppa notte intorno a me s’inabissa nelle vene della Terra grondanti del succo vitale per antonomasia, l’acqua che proprio nelle profondità delle grotte viene “fabbricata” con millenari stillicidi e impetuosi fiumi. Per essere restituita alla luce attraverso l’incessante parto delle sorgenti.

Troppa notte attorno a me è anche un chiaro omaggio al Sommo Poeta e una dichiarazione d’amore altrettanto esplicita nei confronti della speleologia.

Solito – professionista e artista poliedrico: è infatti scrittore, fotografo, giornalista e regista – che con il suo stile ammalia il lettore, con questo romanzo ha realizzato un libro che è un oggetto d’arte: con un formato leggermente più grande rispetto agli standard e suggestive illustrazioni dell’interno e della copertina a cura di Francalaura Rella e Maria Stefani che rendono “reali” i luoghi descritti dall’autore.

Castellana Grotte: Carlos Solito all’opera nelle grotte di Castellana durante un reportage fotografico.

Come è nata la trama di Troppa notte intorno a me?

“Nasce da un’esigenza, come tutti i miei lavori: la restituzione artistica delle mie inquietudini. Un po’ come trasformare un bruco in farfalla. O, perché no, farfalla in bruco. L’importante è che le metamorfosi emotive generino qualcosa sulle quali strutturare un cambiamento, o illudersi che accada. La trama nasce in una notte del febbraio del 2020 con una bufera di neve come poche altre che ho contemplato nella mia casa tra i monti Picentini. C’era freddo, c’era vento, c’era l’inverno in tutto il suo splendore, c’era notte seria, “troppa notte intorno a me”. Ho una grande passione, che poi se ci penso è il mio primo grande amore, quella per le grotte, l’esplorazione, il buio come frontiera nella quale misurare e dare propulsione ai propri sensi per officiare il senso di scoperta. Un rituale magico che diamo troppo per scontato e che, invece nel bene e nel male, riempie ogni istante dei nostri giorni”.

Nel tuo nuovo libro ci sono molte metafore. Il silenzio, il buio e una “discesa agli inferi” che permette a Dante, il protagonista, di misurarsi con un dolore enorme e, forse, buttandolo finalmente fuori, di affrontarlo per la prima volta. Rispetto alle tue pubblicazioni precedenti, questa è emotivamente forte, impreziosita anche da illustrazioni particolarmente evocative che accompagnano la narrazione. Quanto è stato complesso dar voce a Dante?

“Molto! Scrivere questo romanzo ha significato ripassare a pelle e sensazione le paure che mi abitano, che danno percezione al mio sentire, postura al mio corpo, profondità al mio sguardo, pelle d’oca alle mie braccia, visione al mio futuro. Il libro inizia con una feroce realtà, quella del protagonista che si ritrova ad affrontare l’incubo peggiore per un padre: aver perso suo figlio. Una tragedia inconcepibile, inaccettabile, per certi versi impossibile, da disordine innaturale delle cose. Svuotato, crepato, strisciante, Dante si inabissa nel suo atroce dolore, scoprendo un uovo di luce e con esso esplorando la parte più in ombra di sé. Magnifica, immacolata, proprio come le concrezioni candide che abbelliscono le grotte nelle profondità della terra. Basti pensare alla Grotta Bianca che, alla fine del lunghissimo percorso sotterraneo, dopo circa tre chilometri, svela la parte più bella, inattesa, pura delle Grotte di Castellana. Un miracolo, proprio come la vicenda di Dante.

Le illustrazioni, delicate e carezzevoli, sono opera di due giovanissime artiste, Francalaura Rella e Maria Stefani, che sono riuscite sapientemente a dare contorni e pienezza alla mia narrativa con il loro straordinario immaginario.”

Traspare la passione per la speleologia. Quanto ti appartiene?

“Da sempre. Nascere in un posto che si chiama Grottaglie, la dice abbastanza lunga. L’etimologia del mio paese natale è “luogo pieno di grotte, cryptae aliae”. Per me è stato un vero e proprio banco di prova per cercare di saziare il mio sapere e la mia curiosità. Da bambino e poi in adolescenza, non c’è stata caverna che non esplorassi, per me sono sempre state sirene omeriche e un po’, io, un Ulisse dei mondi sotterranei sempre attratto dalla frontiera del mistero, l’Olimpo politeista per antonomasia. È stato in quegli anni acerbi che è iniziato il mio vizio per le grotte. Crescendo ho conosciuto la speleologia e con essa il walzer della scoperta di ogni parte della mia Puglia e dell’Appennino, d’Italia, del mondo. Ho esplorato antri, voragini abissi, baratri, gallerie, cunicoli, meandri, corridoi, sale così grandi da sembrare navate, chiese intere, campi da baseball e campi da calcio. E ho attraversato foreste di concrezioni di ogni tipo, fiumi e laghi, tracce di vari passati – vicini e preistorici – e molto futuro perché le grotte sono piene di vuoti infiniti e tutti da decifrare.”

Tra le pagine anche un omaggio a Dalì, in particolare alla mostra “La persistenza degli opposti” della Dalí Universe, tuttora a Matera nel Complesso Rupestre di Madonna delle Virtù e San Nicola dei Greci e che è stata protagonista di un tuo libro. Cosa rappresenta per te questo fantastico artista?

“Dalí è il surrealismo e con esso il mondo onirico, quindi quella dimensione dove tutto è possibile, febbrile, forte, luminoso, accecante, metafisico, tenebroso. Le grotte, Matera in primis, sono un indefinito calderone di buio. Che mi piace immaginare come quella tenda indispensabile da alzare quando si abbassano gli occhi per entrare nei sogni che, per dirla alla speleologica maniera, fa parte di quel grande complesso carsico – ben lungi dall’essere esplorato – del nostro inconscio.”

Carlos Solito è nato a Grottaglie, in provincia di Taranto. Gira il mondo da giovanissimo e collabora con numerosi magazine e quotidiani nazionali, realizzando reportage di viaggi. Dirige cortometraggi e documentari. Le sue fotografie sono state esposte in diversi Paesi e ha pubblicato oltre una ventina di volumi illustrati per i più importanti editori italiani. Ha firmato la raccolta di racconti Il contrario del sole (Versante Sud, 2010) e Montagne (Elliot, 2012), insieme a Dacia Maraini, Paolo Rumiz, Maurizio Maggiani, Franco Arminio, Andrea Bocconi e altri. È anche autore dei romanzi Sciamenesciá (Elliot, 2016) e La ballata dei Sassi (Sperling & Kupfer, 2019). Per Rizzoli, invece (nel 2020), ha pubblicato Sogno a Sud.

Rossella Montemurro

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