venerdì, 26 Aprile 2024

Riceviamo e pubblichiamo dallo scrittore Giovanni Margarone:

“Quando alla fine degli anni Settanta a malapena iniziavano i corsi di informatica negli istituti tecnici, vivevamo in un mondo che mai avremmo pensato si trasformasse in quello in cui ora viviamo. Sicuramente è una riflessione “non culturale”, ma era questo il comune sentimento all’epoca. Eppure già allora, come è sempre accaduto in ogni attimo della nostra storia, altrettanto comune era il sentimento di progresso. Già Nietzsche, giusto per citare uno dei più illustri e dibattuti filosofi dell’epoca moderna, nella sua Gaia Scienza, con insistenza evidenziava quella “modernità” da lui criticata, in quanto distanziava l’uomo da se stesso, poiché il suo agire creava strumenti che lo alienavano dalla simbiosi con la natura. Stiamo parlando di un uomo vissuto nella seconda metà dell’Ottocento, periodo in cui era esplosa la rivoluzione industriale ed era stata scoperta l’elettricità e, grazie a quest’ultima personaggi come Edison, Tesla e Meucci avevano inventato “cose” che avrebbero trasformato per sempre il modo di vivere dell’umanità intera.

Grazie a quei pionieri, la tecnologia e la tecnica avanzarono supportati dalle scoperte scientifiche, tese a mettere in discussione quell’episteme tanto cara ai Greci, in quanto dimostravano quanto fosse inesistente una verità “assoluta” ovvero l’assoluto di tutto.

A riguardo, il filosofo Severino, nella sua opera La filosofia futura – Oltre il dominio del divenire (Rizzoli, 1989), espone a chiare lettere come l’Occidente del Novecento abbia controvertito appunto l’episteme e il correlato concetto del divenire, in quanto la società moderna, proprio a causa del progresso scientifico, ha messo in discussione l’immutabilità di assiomi che fino ad allora sembravano inconfutabili. Questo ha comportato l’avvento degli “Apparati” economico-politici-capitalistici-socialisti, in grado di dominare enormi masse di popolazione. E gli interessi economici legati al capitalismo sono stati e sono tutt’ora il vero potere che muove il mondo. Mentre nell’est Europa (fino alla Caduta del Muro di Berlino e connesse conseguenze), con il comunismo, contrapposto al capitalismo, era posto al centro di tutto il lavoro degli operai e dei contadini, i quali producevano per uno stato collettivo che “avrebbe dovuto proteggere e difendere le masse”. Dico avrebbe dovuto, perché con Lenin l’ideologia Marxista si trasformò in uno strumento di repressione; un regime monopartitico e dittatoriale che assoggettò il popolo sovietico fino alla dissoluzione dell’URSS, così come avvenne negli altri stati socialisti del blocco orientale.

Questi Apparati hanno promosso il progresso incentivandolo e finanziandolo e sarebbe disonestà intellettuale – contraddicendo quindi Nietzsche – pensare che il progresso sia nocivo all’umanità. Se così fosse, la stessa evoluzione dell’Homo Sapiens non sarebbe esistita e questo è un paradosso.

Ma tornando al discorso iniziale, qual è oggi la nostra percezione di progresso? È una curva esponenziale che tende a infinito, oppure può arrestarsi lasciandoci in una sorta di plateau?

Nel periodo dell’ultimo ventennio del ‘900 è innegabile che il progresso tecnologico sia stato precursore di una vera e propria esplosione che si è verificata poi a partire dagli anni 2000. E di questa esplosione noi ne siamo stati semplici fruitori o forse vittime?

È inconfutabile che l’elettronica sia la vera protagonista di quest’inizio di millennio, così come lo fu un secolo prima l’elettricità. Ma qual è la differenza?

Sembra una vera e propria follia collettiva quella legata alla tecnologia basata sull’elettronica.

Il concetto di follia rimanda agli antichi Greci. Nel dialogo Fedro, Platone sostiene, per bocca di Socrate, che “i beni più grandi vengono a noi attraverso la follia” e Aristotele afferma che la follia era la pura essenza dell’essere spogliata dalla paura e dalla morale; la completa libertà di agire nel bene e nel male. Concetto ripreso da Nietzsche con gli “spiriti liberi”. Il folle agisce, creando e distruggendo, fino a giungere anche alla sua autodistruzione. Possiamo parlare di follia “sana”; ancora Aristotele dice che “non esiste grande genio senza una dose di follia”, perché pur di raggiungere i suoi obiettivi è disposto a fare qualsiasi cosa. In sostanza la follia è la conseguenza dell’agire che può essere sano o insano in conseguenza di un raptus adrenalinico. Freud con la psicanalisi afferma che la follia è una patologia, il frutto dello squilibrio psichico e mentale, rendendo il folle pericoloso per gli altri e per se stesso. Quindi ci sono diversi tipi di follia, da quella filosofica a quella psichica. E la follia da progresso come si colloca?

Questo è un grande tema, estremamente attuale, perché legato a una repentina trasformazione del nostro modo di vivere verificatasi in pochi anni, per la quale forse eravamo impreparati e che ci ha colto di sorpresa. La possiamo interpretare, riguardo all’utenza, in quell’adrenalinico desiderio, la cui soddisfazione porta al godimento, un modo per ritrovare una seppur apparente felicità che oscuri le angosce e i dolori.

La potenza di questa follia ha coinvolto tutti, facendo perdere il senso dell’utile e dell’inutile, confondendo i bisogni necessari con quelli superflui, in chiave, peraltro, iperconsumistica; ben lontana da ciò che lo psicologo Abraham Maslow aveva proposto con la sua “piramide dei bisogni”. Ciò si è verificato perché la tecnologia ha imposto il proprio “dominio”, insediandosi in tutto. A partire da quando fu inventato un computer che poteva essere usato per scopi personali, lo sviluppo tecnologico divenne frenetico e inarrestabile perché divenne “bene” comune e dopo l’avvento di internet lo tsunami aumentò di potenza. Il fenomeno incuriosiva, attirava, grazie all’abilità di coloro che lo diffondevano in chiave essenzialmente consumistica. Iniziò quindi una follia di massa giunta fino a oggi (ma non è finita, suppongo), in cui hanno preso piede espressioni come “sempre connessi, immediato, tutto con un click, social, web, chat”, etc, che interpretano situazioni delle quali non si può più fare a meno, anzi, se ne è dipendenti e, come in tutte le dipendenze, l’assenza anche temporanea provoca crisi psicologiche pure gravi. Una schiavitù, quindi, non nella sua accezione arcaica, ma quello stato d’essere che induce alla dipendenza a causa di un dominio pressoché assoluto di questa turbo-tecnologia, come afferma Mario Tozzi, noto divulgatore scientifico. Una tecnologia “barocca” frutto della follia di un progresso che forse i pionieri dell’Ottocento non volevano.

Ci sarà un limite a tutto ciò?

Fino a quando non s’incarnerà la consapevolezza di riconoscere l’utile dall’inutile sicuramente no, anche perché il digitale è un grande business globale.

La tecnologia è utile, non c’è ombra di dubbio, tutti la usiamo ormai per lavorare, per esempio, e ci agevola molto. Non voglio che passi l’idea che io le sia avverso, ma sono convinto che, come in tutto l’agire umano, ci vorrebbe la giusta misura, tutto qui, perché l’uomo non può essere dominato da ciò che egli stesso ha creato, poiché lo può condurre alla catastrofe.

Un aspetto, in tal senso, di questa turbo-tecnologia, è il suo impatto ambientale, estremamente pericoloso per l’intero pianeta. I rifiuti elettronici sono milioni di tonnellate ogni anno; la rete informatica globale assorbe una quantità enorme di energia e questa, per la maggior parte, è ancora prodotta con combustibili fossili o con il nucleare.

Se le tecnologie fossero usate con ragionevolezza, l’assorbimento energetico delle stesse sarebbe di gran lunga inferiore all’attuale, così da rendere sufficienti le fonti di energia rinnovabili. Un’eco-sostenibilità necessaria, poiché stiamo impoverendo le risorse del nostro pianeta e produrre energia in modo convenzionale, emettendo CO2, avrà ripercussioni sempre più gravi sul clima, compromettendo seriamente il destino delle generazioni future.

Se la tecnologia fosse utilizzata ragionevolmente e in chiave non consumistica, sarebbe un’enorme espressione di civiltà a vantaggio del pianeta e dell’umanità intera di oggi e di domani.

Sarebbe molto utile riflettere e agire affinché il progresso non provochi follia con tutti gli effetti umani e ambientali conseguenti. Pensiamoci.”

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