giovedì, 2 Maggio 2024

Riceviamo e pubblichiamo da Pasquale Doria (Amici della Biblioteca):

Contenitori culturali. Tempi difficili, specialmente per chi è agli esordi. Il problema è stato segnalato a più riprese nel dibattito in corso riguardante la mancata stabilizzazione delle attività della Biblioteca provinciale “Tommaso Stigliani”, dove non occorre nessun biglietto d’ingresso. Altrove, purtroppo, la presentazione dei libri, l’esposizione di opere d’arte, le proposte di spettacoli teatrali o musicali, costano. Bisogna pagare. Lo stabilisce il decreto ministeriale numero 161 dell’11 aprile del 2023. Definisce le tariffe per la concessione d’uso dei beni negli istituti e luoghi della cultura statali, e strizza fatalmente l’occhio agli enti locali. Ma non tutti possono permettersi l’onere di un impopolare ed ennesimo balzello.

Gli effetti del provvedimento si riflettono sulla visione e sulle scelte riguardanti il rapporto fra il patrimonio culturale, l’istituzione pubblica e i cittadini.

Per quanto si voglia distinguere, la questione è aperta e mai così netta come si vorrebbe tra le finalità profit e non profit, pubblico e privato. Non è possibile immaginare un confine preciso, salterebbe il rapporto tra la cittadinanza democratica e il patrimonio culturale. Oltre il valore economico è chiaro che va riconosciuto il rapporto aperto tra cittadini e patrimonio, che è di tutti. Giusta la citazione “non c’è patrimonio senza esseri umani, non c’è umanità senza patrimonio”. Insomma, dovrebbe essere fuori discussione che sono le nostre comunità le vere e legittime proprietarie dei beni. È la forza relazionale da mettere al centro e non tanto il bene culturale in quanto tale, sono fondamentali le persone e il valore che esse riconoscono al patrimonio. 

Del resto, la concezione proprietaria dei beni da parte delle pubbliche amministrazioni non può limitare la naturale spinta alla libera circolazione della conoscenza, intesa come fattore di crescita culturale e non di meno sociale. È l’interpretazione del termine “pubblico” che qualifica il bene, ma regredisce quando diviene pratica onerosa, è un passo indietro, soprattutto per tutti gli attori di piccole dimensioni che operano a livello locale, autentici protagonisti delle nostre realtà nel rappresentare il territorio e il suo patrimonio. Di conseguenza, per bilanciare la gravosità degli oneri, bisognerebbe dare più spazio a una capacità di intelligente ascolto e mediazione. Il decreto non può trasformarsi in un secco diktat, una sorta di editto per attrarre più risorse possibili. In prospettiva, è controproducente mettere in discussione l’indissolubile rapporto tra il patrimonio e le comunità, specialmente lì dove le condizioni economiche sono in crisi. Concludendo, quanto al rapporto costi-benefici, una volta riconosciuto il valore del servizio pubblico, bisognerebbe sbilanciarsi naturalmente a favore dei benefici, altrimenti il deserto che incombe avanzerà ancora. 

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