giovedì, 16 Maggio 2024

Un libro che interessa per oltre due terzi il Sud, scritto da un autore settentrionale. Stiamo parlando di “Una voce dal profondo” (Feltrinelli) di Paolo Rumiz. Giornalista e apprezzato saggista per i suoi reportage in Italia e in tutt’Europa, Rumiz è inviato speciale del “Piccolo” di Trieste ed editorialista di Repubblica, tra i tanti riconoscimenti ha vinto Premio Hemingway nel ‘93 per le sue corrispondenze di guerra dalla Bosnia.

Ieri sera all’Hotel del Campo di Matera, il noto autore triestino, introdotto da Marianna Dimona, ha presentato il suo ultimo volume. Il Nostro ha oramai una consuetudine di frequentazione con la Città dei Sassi. Nel nuovo testo egli elabora una sorta di reportage visionario dedicato alle regioni meridionali che prende spunto dal mondo sotterraneo e quindi geologico, per poi effettuare una dissertazione più ampiamente sociologica e antropologica ma anche poetica della nostra identità.   

Il titolo incuriosisce, qual è il filo rouge del testo?

Si parte dai terremoti che sono una sorta di filo conduttore, ma l’argomento è la Terra, la grande dimenticata che calpestiamo e stupriamo ogni giorno. E’ un tentativo di ascoltare i messaggi che ci arrivano da sotto le suole delle scarpe che possono essere sia un terremoto, i vulcani, il mondo ipogeo. C’è un tentativo di leggere l’Italia e le diverse Italie alla luce di ciò che sta sotto e non di ciò che sta sopra. Ad esempio ho parlato tantissimo del mondo ipogeo di Matera.

In proposito alcuni anni fa lo scrittore francese, Ives Frontenac, scrisse un romanzo dal titolo “Gli organi del silenzio” in cui immaginava una popolazione che viveva nel sottosuolo, nella pancia di Matera, come fosse la coscienza decadente dell’uomo…

Anche il mio è un libro molto visionario che tenta di dare una lettura unitaria ad una serie di eventi che hanno a che fare con il sottosuolo, attraverso una chiave sonora acustica, per questo ne parlo come una voce del profondo.

Nel libro è il Sud è l’area maggiormente interessata?

Sì. Il libro è ambientato per tre quarti nel Sud. Inizia nelle Eolie, attraversa la Sicilia, risale la Calabria, la Basilicata, la Campania. Prende l’Italia da Sud a Nord e non da Nord a Sud come fanno spesso i settentrionali.

Qual è l’approccio?

Sostengo l’identità delle diverse Italie, perché noi non siamo una nazione, siamo un collage di diversità, ciò non dipende solo dagli eventi della storia ma dipende anche dal rapporto con il sottosuolo. E’ chiaro che Matera e i materani sono stati formati anche dai Sassi che hanno plasmato il carattere della gente, così come le grotte del Carso hanno costruito un carattere carsico per quelli come me nati lì, così come a Napoli sono vesuviani e hanno un rapporto con la vita che è magmatico.

Chiarisca ancora la differenza di questi tre caratteri…

Trieste ha approccio speleologico alla vita, andrebbe sempre alla ricerca di quello che c’è sotto con la ricerca delle grotte. Non è un caso che la speleologia e la psicanalisi a Trieste siano nati negli stessi anni, quindi c’è una corrispondenza. Non si può prescindere da secoli di storia importante vissuta nei Sassi di Matera che poi sono stati vissuti come vergogna. In realtà questo mondo ipogeo contiene tante formule che oggi ci sono utilissime per la sopravvivenza in un mondo che sarà sempre più caldo e meno fornito di acqua da bere e quel mondo aveva una sua logica. Per quanto riguarda Napoli è un pentolone in cui tutto viene rimestato. E’ una città che da tremila anni vive su un vulcano senza emigrare ed è un monumento alla ostinazione e al restare che non ha nessun altro luogo in Italia.

Lei ha fatto tanti viaggi, ad esempio quello sulla via Appia dal quale poi ha tratto l’omonimo libro. Oggi che impressione le fa il Sud?

Il Sud e in particolare queste zone di Basilicata e Calabria a mio parere hanno avuto una bassa coscienza di sé, un’autostima molto bassa, cosa che non avviene per esempio con la Sicilia.  Questa è una zona d’ombra molto forte. Già al tempo dei Borboni chi voleva percorrere la Basilicata e la Calabria per andare in Sicilia veniva dissuaso dall’attraversare queste terre considerate infime e con pessime strade, il che era  parzialmente vero. Però è anche vero che qui ha vissuto Pitagora. Se noi non avessimo avuto Pitagora, il Brunelleschi non avrebbe potuto fare la Cupola di Santa Maria del Fiore di Firenze …sono cose che alle genti di qui vanno ricordate.

Ha attraversato il mondo in treno, a piedi, in bicicletta, cosa ha significato per lei il viaggio?

Il viaggio nasce dalla curiosità. In apparenza c’è il motivo di vedere i luoghi e conoscere persone, ma in realtà viaggiamo per conoscere noi stessi. Ogni viaggio che faccio arricchisco la coscienza di me stesso attraverso l’incontro con persone che non mi somigliano, questo è uno dei motivi per i quali vengo volentieri al Sud. Noi del Nord abbiamo una mentalità più schematica, noi metteremmo tutto in un recinto, qui non è così, qui nel Sud è tutta una situazione moto più visionaria e a me fa bene venire qui perché mi apre la mente!

Filippo Radogna

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