giovedì, 18 Aprile 2024


Arrivare all’ultima pagina di Nicola Rubino è entrato in fabbrica (TerraRossa Edizioni, collana Fondanti) significa accorgersi di sentirsi frustrati, di avere addosso l’odore indefinito e indefinibile dell’azienda, i dolori articolari, l’ansia e l’incertezza sul rinnovo del contratto, il fastidio di stare accanto a colleghi infidi e opportunisti.
L’autore, l’altamurano 47enne Francesco Dezio, l’operaio lo ha fatto davvero, per tre anni – di cui uno intero trascorso facendo un corso di formazione, comprensivo di sei mesi di stage in azienda – dal 1999 al 2002.
Dezio, che ha il dono di saper scrivere molto bene – non è un caso se il suo libro fu scelto per la pubblicazione da Alberto Rollo, l’allora responsabile editoriale Feltrinelli mentre l’editing fu curato da Stefano Petrocchi, attuale direttore della Fondazione Bellonci -, ha riportato quei giorni su carta, romanzando una situazione paradossale ma fin troppo reale.
Lo stesso Roberto Saviano, che ancora non aveva pubblicato Gomorra, dalle pagine del magazine letterario «Pulp», affermò: «Dezio ha scritto un romanzo vero. (…) Questo romanzo riesce a spurgare tutto il falso ciarlare sul lavoro, sugli stage (pronunciati alla francese), sul part-time, sulla flessibilità, sulle risorse umane. E ci si ritrova con la materia vera, quella dello sfruttamento totale e spietato».
Dall’odioso medico della fabbrica che sminuisce ogni problema dei dipendenti all’indifferenza dei vertici aziendali interessati solo al profitto – massimo rendimento nelle peggiori condizioni – fino alle figure ambigue dei sindacalisti: tutto è spinto al limite in Nicola Rubino, anche i sentimenti.
Solo il dialetto barese, i verbi sbagliati e alcuni episodi tragicomici riescono a stemperare una descrizione che è, nel complesso, pesante come il clima che Dezio ha respirato in azienda.
Una curiosità: la prefazione “Gli anni da scrittore emerso – la mia vita agra, in breve”, firmata dallo stesso Dezio in questa nuova edizione, sembra quasi un romanzo nel romanzo.
Quella raccontata in Nicola Rubino è entrato in fabbrica è un’esperienza di una decina di anni fa. Secondo lei, nel 2017 è cambiato qualcosa?
Nulla, se non in peggio. I contratti di lavoro si sono assottigliati all’osso fino a sparire – gli stage i tirocini i progetti di alternanza scuola/lavoro – o da tradursi in ridicoli bonus – i voucher – sottraendo al lavoratore diritti conquistati in anni di lotte sindacali – roba d’antan, per i nostri governanti – fino al vituperato Jobs Act il cui inglesismo spalanca le nostre vite a nuove frontiere di ricattabilità a vantaggio di chi finge di assumere per tempi ultrabrevi (a tutele crescenti).
Quanti Nicola Rubino esistono ancora?
Nel romanzo si preconizzava la scomparsa della classe operaia e l’avvento di un nuovo tipo di individuo: non l’operaio-massa del Vogliamo Tutto di Nanni Balestrini o il Lulù de La Classe Operaia Va in Paradiso, ma di un tecnico istruito, competente, giovane, appiattito sui valori consumistici dominanti e in competizione coi colleghi suoi stessi, e sempre pronto a sgambettarli – mobbizzare – per tornaconto personale pur di stare dalla parte del più forte. Nicola Rubino è l’archetipo in via d’estinzione dell’operaio ribelle, pronto a sabotare il cumulo di retorica in cui annaspa la grande industria con la sua ironia e intelligenza ed è insensibile ai richiami del mondo consumistico: inviso ai datori di lavoro (e loro cortigiani) verrà espulso, andando a infoltire il parco disoccupati esistente. Al suo posto i mediocri yesmen, che poi sarebbero il sale delle nostra economia, che vanta un gran numero di aziende fondate sull’arretratissimo modello familistico e padronale.
Nicola Rubino è il suo alter ego. A distanza di tempo, cosa le è rimasto: prevale la sensazione del dolore fisico dovuto alla ripetitività di azioni logoranti e all’assenza di tutele per i lavoratori o il disagio psicologico per il pessimo clima aziendale che sconfinava nel mobbing? 
Ho memoria di un periodo orribile in cui non riuscivo ad avere vita sociale ed ero malvisto dai miei stessi compagni (reo di esprimermi al posto loro); giorno dopo giorno, accusavo sempre più problemi fisici e psicologici (stati depressivi). Cimentarmi nella scrittura è stato catartico, ho potuto sfogare la rabbia che avevo dentro e vendicarmi dei torti subiti ma è durato qualche stagione: il libro era stato frettolosamente dismesso dal catalogo Feltrinelli, risultando assente dalle librerie. A riscattarlo dall’oblio l’editor Giovanni Turi che ha voluto ripubblicarlo per la neonata TerraRossa Edizioni, invitandomi a rivederlo o ritoccare le parti che non mi convincevano più. Accettata la sfida l’ho riscritto da cima a fondo, aggiungendo anche degli episodi inediti. Più che l’ironia e la critica antisistema – che c’è ancora ed è evidente – mi interessava trovare uno stile più consono, in cui mi riconoscessi. È stato un esperimento rischioso ed affascinante, che mi auguro convinca – sorprenda nuovamente – chi già conosceva il testo fin dalla precedente edizione.
Secondo lei, sarà mai possibile contrastare il divario tra dipendenti e datori di lavoro, tra diritti e doveri reciproci sempre più sbilanciati?
Temo che il popolo italiano sia costituzionalmente incapace di attuare alcuna rivoluzione.
Cosa si augura per questa edizione rinnovata di Nicola Rubino?
Di riuscire a incuriosire nuove frange di lettori con un tema sempre più bistrattato dall’editoria mainstream, attraverso un linguaggio viscerale e uno sguardo non addomesticato.
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