giovedì, 25 Aprile 2024

Due ragazzini, due madri. Destini che si incrociano ed esistenze che più lontane non possono essere: La vita in tasca (Solferino), il nuovo romanzo di Simona Sparaco, commuove, fa riflettere e, in fondo, parla di tutti noi.

Mattia, 14 anni, dislessico e discalculico, “aveva dieci anni quando i suoi si sono separati, ma se ne sentiva già venti. Quel giorno aveva voglia di sparire e si era raggomitolato sul letto, conscio del fatto che, pur essendo lì, agli occhi furenti dei suoi genitori era diventato trasparente. (…) Lui avrebbe così voglia di andare lontano, di sfuggire dal branco dei bulli della scuola e di lasciare una volta per tutte quella casa sempre vuota e quella classe troppo piena. Ma anche questo, meglio tenerlo per sé”.

Mattia vive a Milano con la madre, divorziata. Non va bene a scuola e ha smesso di impegnarsi, anche perché è entrato in un brutto giro: Jonathan, uno dei suoi compagni meno raccomandabili, lo ha preso sotto la sua ala protettiva e Mattia non è più una vittima di bullismo ma in compenso rischia di perdersi.

Malik, invece, vive con la madre vedova, in Ghana. Per lui, che a scuola colleziona dieci e un talento per la matematica, “tutto ciò che lo circonda assume un significato diverso, visto attraverso i libri”. Per la mamma “Malik può andare lontano, oltrepassare il deserto che ha inghiottito suo padre e diventare un medico o un ingegnere. Malik può osare. Per questo lei e suo marito hanno deciso di mandarlo a studiare. Ha imparato a leggere e a scrivere così rapidamente. Con le pagelle che ha, non potrà che venire accolto per il suo valore. E non dovrà neanche preoccuparsi di spedirle i soldi, perché Fara lo sa, a lei mancano solo poche lune, ed è anche per questo che suo figlio lì non può più restare. I soldi sono arrivati, le trattative già concluse, lo zio Paki verrà a prenderlo a giorni, e lei deve trovare il coraggio di dirglielo”.

Hélène, la mamma di Malik, vuole che suo figlio abbia il meglio, nonostante significhi spezzare un legame indissolubile. Anche Luisa fa il possibile per il suo Mattia, dividendosi tra la professione di anatomopatologa (“ridare ai resti di un corpo la loro storia è come ridargli una dignità”) e una relazione sentimentale precaria, con un uomo che le ha mai fatto promesse.

Un pericoloso tragitto attraverso il deserto e poi per mare, accompagnato dai trafficanti di uomini, attende Malik. Per Mattia sarà una sfida che ha il sapore della trasgressione, ma dal prezzo altissimo.

A molti chilometri di distanza, una serie di eventi imprevedibili li porterà verso una stessa notte, quella che deciderà il loro destino.

Per scrivere La vita in tasca l’autrice si è ispirata alla dottoressa Cristina Cattaneo, a lei deve tutti i dettagli riguardanti la sua causa, quella che combatte da anni per i morti senza nome e che nel romanzo ha attribuito a Luisa, la madre di Mattia.

Simona Sparaco non è nuova a trame emotivamente “estreme”: scuote il lettore costringendolo a guardarsi dentro, mettendolo di fronte a sentimenti contrastanti. Stupendo La vita in tasca che non ha paura di toccare nervi scoperti: da leggere, assolutamente.

“Questo romanzo – scrive la Sparaco – non esisterebbe se non fossi entrata, un paio di anni fa, a far parte di un gruppo di special friends dell’UNHCR, la costola dell’Onu che si occupa dei rifugiati e che ha dato vita, per altro, all’iniziativa «pagella in tasca», volta a creare canali di ingresso sicuri e innovativi per tutti quei ragazzi che fuggono dai loro Paesi in guerra”.

La Sparaco, scrittrice e sceneggiatrice, è stata finalista al Premio Strega nel 2013 con Nessuno sa di noi. È special friend dell’UNHCR e La vita in tasca nasce con l’intento di contribuire alla causa dell’UNICEF per la scuola nel Terzo Mondo. I suoi romanzi sono tradotti in diversi Paesi come Francia, Spagna, Inghilterra, Russia e Giappone; Nel silenzio delle nostre parole ha vinto il Premio DeA Planeta 2019.

Rossella Montemurro

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