giovedì, 18 Aprile 2024

Da una vita tutto sommato tranquilla, scandita dai ritmi della natura, dal lavoro in una campagna del Sud e dai piccoli e grandi conflitti in famiglia a una vita di colpo frenetica, in una grande città con nuovi stimoli e un ventaglio infinito di aspettative e opportunità – non sempre positive.
È quello che accade a Innocenzo, il protagonista dell’ultimo romanzo dello scrittore lucano Tommaso Carbone La vita che volevo (PubGold). Innocenzo è un ragazzo fondamentalmente buono, senza grilli per la testa, che però non riesce a scalfire l’inflessibilità del padre – incapace di dare al figlio quella libertà che gli permetterebbe di crescere sul serio. Quando Rocco gli offre l’ospitalità e un lavoro a Torino, Innocenzo coglie l’occasione per spiccare il volo, lasciandosi alle spalle la prospettiva di un futuro incerto. Siamo negli anni Settanta, proprio quando il comunismo sta vivendo il suo momento d’oro e le ideologie sovversive cominciano ad attecchire. Torino, per Innocenzo, rappresenta la svolta: l’indipendenza, la certezza di un lavoro, le amicizie, l’amore, l’impegno politico. Come spesso accade, però, questa cornice ideale è destinata pian piano a sfaldarsi: l’impegno nel sindacato non è ben visto dai datori di lavoro, le amicizie non sempre sono quelle giuste, perdere la testa per la donna del proprio amico significa dilaniarsi dai sensi di colpa, combattere per un’ideologia può essere pericoloso quando si sconfina nella violenza…
La vita che volevo è il percorso, difficile e complesso, di un ragazzo meridionale che si impegna per ottenere un riscatto personale. Gli anni Settanta sono raccontati da Carbone con garbo e competenza, senza enfasi. Le descrizioni accurate – tanto dei paesaggi quanto degli stati d’animo – rendono questa storia molto “sentita”. Gli anni di piombo sono narrati attraverso le inquietudini, i sogni, le illusioni e i conflitti di due generazioni: quella dei padri che hanno vissuto la guerra e quella dei figli nutriti dalle ideologie del ’68. La vita che volevoè una storia corale di gente comune, di affetti, di amicizie, di tradimenti, di sentimenti feriti, di rinascita, il romanzo ideale per essere adottato come libro di testo nelle scuole.
Come è nata la trama del suo nuovo romanzo, “La vita che volevo”?
“Accarezzavo l’idea di scrivere un romanzo ambientato nella metà degli anni ’70 da tempo. Come al solito ho lasciato che maturasse. Volevo raccontare il periodo più difficile della nostra storia recente, gli anni di piombo, in cui un manipolo di “marxisti-leninisti fuori tempo” – così li definì il presidente Francesco Cossiga – sferrarono un attacco al “cuore dello Stato”, attraverso le inquietudini, i sogni, le illusioni e i conflitti di quella tragica stagione, scrivendo una storia di gente comune, di affetti, di amicizie, di tradimenti, di sentimenti feriti, di rinascita. Più gli editori mi dicevano che era un tema ampiamente trattato, che sull’argomento avevano già scritto i protagonisti di quegli anni come Prospero Gallinari, che non avrei potuto aggiungere nulla – non si erano resi conto che il mio era un punto di vista completamente diverso, non ideologico, né inquinato o viziato, per così dire, dalla partecipazione diretta – più mi convincevo che dovevo scriverlo”.
 Lei ha affermato che con La vita che volevoha un legame particolare, è un testo che le è molto caro. Perché?
“L’8 giugno del 1976 a Genova le Brigate Rosse trucidarono in un agguato il Procuratore della Repubblica Francesco Coco, il brigadiere di polizia Giovanni Saponara e l’appuntato dei carabinieri Antioco Deiana. Apprendemmo la notizia dalla televisione. Mio padre riconobbe subito la foto del brigadiere Saponara, originario di Salandra, figlio di una cugina di mia nonna. Avevo solo 13 anni ma ricordo bene il dolore e la costernazione che per la morte di quei servitori dello Stato uccisi barbaramente. A loro e a tutte le vittime del terrorismo ho dedicato il libro”.
 Qual è il personaggio che sente a lei più vicino?
“Innocenzo, il protagonista, ribelle e idealista, inquieto e impulsivo con un rapporto conflittuale col padre incapace di cogliere i cambiamenti della società e di comprendere le aspirazioni del figlio che nel momento più difficile della sua vita scoprirà che c’è ancora spazio per la speranza”.
 La vita che volevo inizia in un paese non meglio precisato del Materano. Dai nomi delle vie e da alcuni luoghi descritti, può essere individuato in Grassano. È così?
“Un chiaro omaggio al mio paese, Grassano, a cui sono molto legato, al santo patrono e ai tanti amici che portano questo nome. Mi piaceva il parallelismo tra Sant’Innocenzo martire cristiano che ha il coraggio di testimoniare la sua fede in Cristo e Innocenzo il protagonista che non ha il coraggio di assumersi le sue responsabilità e vive con il rimorso di quello che ha fatto senza aver espiato la colpa”.
 La vita che volevo è ambientato in un periodo molto “caldo” della storia d’Italia – gli anni Settanta – ripercorso in tutte le sue contraddizioni – il divario tra Nord e Sud, il lavoro in fabbrica e il lavoro in campagna, il terrorismo. La trama è valorizzata da un’accurata ricostruzione storica: come ha fatto a rendere così autentica la descrizione di quegli anni?
“Mi sono documentato e ho letto tantissimo: saggi, articoli di giornali e riviste, documenti ufficiali, interviste ai principali protagonisti di quegli anni. Tra i tanti libri consultati voglio ricordare La notte della Repubblica di Sergio Zavoli che ripercorre la storia dell’eversione in Italia e ne analizza il clima e conseguenze attraverso la voce dei protagonisti”.
 Lei è conosciuto e apprezzato come scrittore di gialli e thriller. Un paio di anni fa ha scritto un romanzo, Il sole dietro la collina e, soltanto ora, è tornato in libreria con una nuova storia nella quale i protagonisti sono persone normali, non c’è un serial killer nella trama. Leggeremo sempre più spesso romanzi firmati da Tommaso Carbone?
“Mi piace spaziare anche se qualcuno mi ritiene uno scrittore di genere avendo all’attivo alcuni gialli e thriller. Scriverò sicuramente altri romanzi. Le anticipo che sto raccogliendo il materiale preparatorio per un romanzo ambientato in Basilicata che inizierà nel 1880 che si protrarrà fino alla seconda guerra mondiale attraverso la storia e il declino di una famiglia di latifondisti”.
Tommaso Carbone è nato nel 1963 a Grassano, in provincia di Matera, si è laureato in Pedagogia e insegna nella scuola primaria. Nel 2012 ha pubblicato Niente è come sembra (Rusconi). Il suo racconto Un angelo vestito di nero è stato incluso nella raccolta Carabinieri in Giallo 3 (Mondadori). Tommaso Carbone è nato nel 1963 a Grassano, in provincia di Matera, si è laureato in Pedagogia e insegna nella scuola primaria. Nel 2012 ha pubblicato Niente è come sembra (Rusconi). Il suo racconto Un angelo vestito di nero è stato incluso nella raccolta Carabinieri in Giallo 3 (Mondadori). Con Libromania ha pubblicato i romanzi Il sole dietro la collina, Il cadavere del santuario, Non avrete scampo e L’angelo sterminatore. Con Delos Digital L’innocenza perduta e A un passo dal baratro.
Rossella Montemurro

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