venerdì, 29 Marzo 2024



Il Premio Strega 2017 lo avrebbe vinto lei. Lo dicevano i giornalisti. Vuoi mettere in dubbio le vittorie annunciate? La proclamazione l’ha immaginata centinaia di volte e ogni volta indossando un vestito diverso: il problema, infatti, per una che fa una vita noiosa e va a letto alle 9 – parole sue -, era cosa indossare.

Teresa Ciabatti allo Strega con La più amata(Mondadori) è arrivata seconda eppure si è presa tutta la scena con il suo stile caustico e coinvolgente, lo stesso con cui ha catturato a Matera il pubblico del Women’s Fiction Festival.

La Ciabatti è autentica, spontanea, racconta di sé con autoironia precisando che La più amata – romanzo scritto in prima persona che nasce dall’esigenza di scoprire chi fosse davvero Lorenzo Ciabatti, il padre dell’autrice, primario dell’ospedale di Orbetello – è in gran parte inventato. In bilico tra autenticità e finzione, è tuttavia impossibile non rimanerne colpiti fin dalle prime pagine: “Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho quarantaquattro anni, e a ventisei dalla sua morte decido di scoprire chi fosse davvero mio padre. Diventa la mia ossessione. Non ci dormo la notte, allontano amici e parenti, mi occupo solo di questo: indagare, ricordare, collegare. A quarantaquattro anni do la colpa a mio padre per quello che sono. Anaffettiva, discontinua, egoista, diffidente, ossessionata dal passato. Litio ed Efexor prima, Prozac e Rivotril poi, colpa tua, solo colpa tua, papà.”

La più amata è un libro feroce che avvince il lettore e lo stordisce allo stesso tempo. Forse per Teresa è un tentativo di riconciliarsi con il passato, forse il suo esatto contrario. Certo è, che dell’infanzia da sogno di Teresa è rimasto un incubo, del padre è rimasto un imprinting che si riflette nella psicologia contorta della figlia: “Compulsiva negli innamoramenti non corrisposti. Paolo, Luigi, Guido, Andrea, Stefano, Giorgio. E poi: Matteo, Roberto, Enrico, Luca, Mario, Filippo. Anche questo colpa del padre, autoritario, gelido, assente, maledetta figura paterna, padre dispotico, minaccioso, vendicativo, dannata figura paterna, a tratti tenero, premuroso, attento. Se non si ripetessero identiche, potrei elencare tutte le situazioni umilianti in cui mi sono trovata col genere maschile, in cui mi sono buttata quasi cercando dolore”.

 


In primo piano nel suo romanzo c’è una famiglia, se vogliamo disfunzionale e anaffettiva. Qual è il suo concetto di famiglia?

“Non ho capito cos’è la famiglia, secondo me cambia sempre forma, è in continuo divenire, è la cosa meno stabile che c’è. Un giorno è minaccia, un giorno è protezione. Non so dare una risposta”.

Cos’è prevalso durante la stesura del libro: una sorta di riscatto per aver messo a nudo questa famiglia o i sensi di colpa, il dispiacere per quello che si è vissuto?

“In realtà è una finta autobiografia, c’è molta fantasia. Sapevo poco dei miei genitori, rimanevano molti misteri. In alcuni momenti le risposte le dà la fantasia, non è realmente la mia vita. Volevo scrivere un romanzo d’amore e restituire anche le ombre, quindi anche l’odio che c’è nell’amore, la sofferenza, tutto”.

Si aspettava un successo simile de La più amata?

“No, perciò sono contenta”.

Ha avuto difficoltà con l’editore per la pubblicazione?

“Per la prima volta nella mia vita è stata tutto abbastanza semplice, senza problemi”.

La famiglia e le sue ombre sono presenti anche in un suo libro precedente, Il mio paradiso è deserto. Per quanto riguarda il suo futuro letterario, cosa dobbiamo aspettarci?

“Ho iniziato a scrivere qualcosa. E’ un libro su due sorelle ma non è detto che la trama rimanga questa”.

Rossella Montemurro


 

 

 

 

  

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