sabato, 27 Aprile 2024

Apt Basilicata, si apre la terza edizione di Fucina Madre

Dalla ceramica all’arte orafa, dal legno all’uncinetto, dall’arte digitale al recupero di antiche tradizioni manifatturiere. E’ un vero e proprio mosaico dell’eccellenza lucana quello che 44 artigiani, maker e designer, provenienti da ogni parte della Basilicata,...

Un microcosmo irresistibile, personaggi alla stregua di macchiette o forse no, incredibilmente autentici. E poi i dialoghi, che spesso hanno bisogno dei sottotitoli perché il dialetto pugliese per chi non è meridionale assume i contorni di un linguaggio in codice.

Francesco Dezio, in La meccanica del divano (Ensemble), non ha paura di osare e il risultato è un romanzo folgorante, che lascia il segno. Dezio non si lascia sedurre dalle mode letterarie del momento, scrive svincolato dagli stereotipi. Scrive con il suo stile sferzante, originale e regala minuziose analisi sociologiche.

Già nel 2004, con Nicola Rubino è entrato in fabbrica (Feltrinelli), aveva tratteggiato un ritratto indimenticabile e veritiero del mondo del lavoro, dell’eterna dicotomia operai/padroni.

La meccanica del divano ha per protagonisti gli operai Nuccio Forleo e Michele Persico, entrambi di Infernominore, un immaginario paese della Puglia, che lavorano nell’azienda di Natalino Manucci, “Seduti & Seduti”, una multinazionale del settore arredamento quotata al NYSE, con holding sparse su tre continenti.

Manucci è un self-made man che ha vissuto gli scossoni dell’economia e ha attraversato crisi aziendali rimanendo però saldamente in sella: “Per diventare il più amato dagli italiani – un amore che non si può imporre, altrimenti è stalking – e scalzare finalmente dal podio veneti e brianzoli, hai dovuto puntare “sull’alta gamma” e su metodi di produzione che certificano la qualità totale (QT). Si è trattato di coinvolgere la crème de la crème degli arredatori, degli architetti e designer. Adesso puoi dirti soddisfatto, li hai messi tutti a sedere: divani grandi, morbidi e avvolgenti per contenere i grassi deretani yankee; a sedute strette per gli asiatici (in futuro, per loro, chi lo sa, magari progetterai dei divani a castello o a cellette, per ottimizzare gli spazi); di medie dimensioni e con imbottiture rigide per quelle scope in culo dei crucchi (e per far ciò hai disseminato una rete capillare di franchisor pronti a diffondere il Tuo Verbo). E se qualcuno ancora tentenna, esita a cedere alle tue lusinghe, o si siede con le buone o sarà con le cattive; legato e imbavagliato lo si sottoporrà a torture cinesi, finchè non confesserà le sue intenzioni d’acquisto (scegliendo te)”.

Il sogno di Nuccio e Michele è diventare contoterzisti del padrone, ben felici di far propria, anche nella miseria, la retorica aziendale del boss dei divani.

Le dinamiche dei salottifici si intrecciano con le vite personali dei protagonisti, come l’osteggiata (dai familiari di lui) relazione tra Nuccio e Miriana che sfocia nel matrimonio: “Miriana Bonasia, vent’anni, fotomodella e indossatrice, hostess di fiere, aspirante attrice con una promettente carriera davanti e da protagonista assoluta del fashion e del beauty. Nome d’arte Myriam, l’alternativa suggerita da Tommy Gesmondo, suo manager ed ex (lei ci tiene a precisare che con lui è tutto finito). In paese era celebre ancor prima di diventarlo; del resto, chi non la conosceva? Quando spaccava il corso a falcate furenti, veleggiando altera su quei tacco dodici obbligava il testosterume a mettere automaticamente in rotazione le cape gloriose ed era tutto uno stronfiar dalla frustrazione, come i ciucci o i cavalli…”

Al posto delle lotte sindacali e delle ribellioni, ormai “fuori moda”, subentra la quotidianità dei social e delle influencer: non si può sperare nella rivoluzione in un mondo in cui operai e imprenditori sono entrambi dei vinti. Attorno a loro un coro sulla falsariga della tragedia greca: la Vammana, gli spin doctor, influencer, gli organi di stampa asserviti e lo stesso autore… tutti pronti a metter bocca in un “dramma” in cui il vero nuovo è il Mercato, egli stesso un personaggio del romanzo che in un dialogo incessante con i protagonisti li aizza verso il profitto. 

La meccanica del divano esce 17 anni dopo il tuo sorprendente esordio Nicola Rubino è entrato in fabbrica.  Come lo definiresti questo nuovo romanzo?

“Lo definirei un moderno Satyricon. Già nel titolo precedente (la Gente per bene), una storia a cavallo tra cognitariato e disoccupazione, avevo creato un controalterego che portava il nome di Natalino Manucci (il re dei divani) e, sia pure in un excursus mi ero calato nel punto di vista dell’imprenditore e non più del dipendente. Anche nella raccolta di racconti Qualcuno è uscito vivo dagli anni Ottanta, tenendo a bada l’autofiction, avevo sperimentato la polifonia di voci: i tempi erano maturi per scrivere una storia come questa, che pur tenendo conto delle esperienze passate rappresentasse un’evoluzione di quelle.” 

La meccanica del divano affronta le dinamiche tra operai e padroni postmoderni ma è anche un trattato sociologico, uno spaccato semiserio sul nostro Meridione. Qual è il messaggio che Francesco Dezio vuole dare?

“Il messaggio chiave dell’intera opera è questo, che per quanto l’italica imprenditoria si affanni, reputandosi impeccabilmente all’altezza della situazione (ottimizzando l’impiego di risorse umane e istigandole a raggiungere obiettivi e performance ideali, che sarebbero proprie dei robots) e si creda a tutti gli effetti razza padrona (del proprio destino e di quello degli altri) deve fare i conti col vero, autentico, reale, onnipotente deus ex machina che è il mercato. È quello che decide quali pedine muovere, chi elevare e chi umiliare e offendere, gettandolo nel fango.”

Nonostante tu abbia cambiato i nomi delle città, è chiaro che l’ambientazione del romanzo sia nel Polo del Salotto che una ventina d’anni fa è stato il fiore all’occhiello di Matera e di alcune zone dell’hinterland pugliese così come è intuibile chi si cela dietro alcuni personaggi. A differenza della maggior parte degli scrittori che ambientano i propri romanzi al Sud, tu hai voluto descrivere un Meridione non edulcorato, verace, anche nei suoi lati poco edificanti. Quanto sei stato ispirato da situazioni e personaggi reali?

“L’area che racconto (quella murgiana) è stata, per molti anni, identificabile col distretto del divano e ha molto più in comune con certe zone del Veneto che non col Salento o con la costa o con qualsiasi altro posto che connoti “la pugliesità” tutta stereotipi acclarata e contestuale alla narrativa giallista-noir.  Il mio approccio alla narrazione non può essere di pura invenzione (e distrazione) se è svincolato dal dato reale e pone continuamente domande al lettore. E il mio è un lettore senziente, non anestetizzato dalle fiction propinate dai Grandi Gruppi Editoriali.”

La meccanica del divano è caratterizzato dalla presenza di un coro, alla stregua della tragedia greca. Perché questa scelta, è un modo per dare maggiore enfasi alla trama?

“Mi sono ispirato sia alla struttura della tragedia, sia della commedia antica. Io, ad ogni modo, non ho fatto studi classici se non da lettore autodidatta ma la motivazione che mi ha spinto a scriverlo così è insita nella modalità di narrazione che ho scelto, improntata alla satira feroce sul sistema produttivo italiano (ispirandomi a Paolo Volponi de Le mosche del capitale); poi perché di fatto, quello che è capitato all’imprenditoria nostrana è che ha conosciuto una fase di grande espansione e arricchimento e un declino altrettanto rapido (un crollo verticale), fino a sparire quasi del tutto (dimmi tu se non è una tragedia moderna, questa); il modo migliore per raccontarla con tanto di coreuti, partecipi delle vicende dei nostri antieroi.”

Puoi spiegarci il titolo, La meccanica del divano?

“Ha una duplice interpretazione, da un lato fornisce al lettore le indicazioni costruttive che portano alla realizzazione di un divano, dall’altro è una filosofia (o way of life) dell’imprenditore di successo, improntata al familismo più becero e che, a conti fatti, non paga (e certamente non rappresenta un modello di crescita per il Paese): sono questi gli aspetti che ho provato a parodiare.”

Tra vizi e virtù della Puglia, molto ben delineati, trionfa anche il dialetto. Immagino non sia stato semplice riportare in maniera così precisa espressioni e modi di dire in vernacolo che se da un lato danno molto ritmo alla narrazione dall’altro divertono il lettore.

“Non è stato semplicissimo: nel momento in cui re-inventi una lingua (s’intende, non è un calco dal dialetto ma è un artefatto che deve tener conto della capacità di comprensione di un lettore tout court, senza esasperare o chiudersi nella gabbia dei localismi), devi poi attenerti a quella grammatica ed è un’impostazione che io ho perfezionato solo quando avevo risolto buona parte del quadro della narrazione.”

Francesco Dezio (1970) è nato ad Altamura (Bari), dove vive e lavora come illustratore. Col suo romanzo d’esordio Nicola Rubino è entrato in fabbrica (Feltrinelli, 2004) ha aperto la strada alla letteratura postindustriale. È autore del romanzo La gente per bene (Terrarossa, 2018) e della raccolta di racconti Qualcuno è uscito vivo dagli anni Ottanta (Stilo, 2014).

Rossella Montemurro

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