giovedì, 2 Maggio 2024

Oggi vorrei fare una riflessione sulle virtù, e lo vorrei fare con una favola di Simonide di Ceo.

Simonide nacque nel piccolo centro di Iuli, sull’isola di Ceo, nelle Cicladi.

Dopo essersi distinto come poeta nella sua terra natale, fu chiamato ad Atene dal tiranno Ipparco, figlio di Pisistrato: egli, facendosi promotore di una politica di “mecenatismo”, aveva infatti favorito la riunione attorno a sé di numerosi artisti.

Nella città dell’Attica Simonide si trattenne fino al 514 a.C.: dopo l’assassinio di Ipparco da parte dei tirannicidi, iniziò a girovagare spostandosi da una località all’altra della Grecia.

Giunse così in Tessaglia, presso la corte degli Scopadi e degli Alevadi, e fece poi ritorno ad Atene nel periodo delle guerre persiane.

Dopo la fine del conflitto, Simonide si spostò in Sicilia, dove la permanenza di governi tirannici favoriva la pratica del mecenatismo.

Qui operò presso la corte di Geone I  di Siracusa e di Terone di Agrigento.

Morì in età molto avanzata nel 468 a.C. ad Agrigento, dove fu pure sepolto.

La favola è la seguente

Narra la fama

che sopra rocce la Virtù dimori

difficili all’ascesa

e che d’agili ninfe un puro coro

velocemente a lei d’intorno danzi.

Non visibile agli occhi

dei mortali,

ma solo a chi affannoso sforzo nutra

dentro il suo cuore

e al culmine giunga con coraggio.

È una favola, è vero, ma ci raggiunge mite e misurata.

È potente nei contenuti e austera nella proposta.

L’autore ci dice che la virtù vive sopra le rocce, in alto, ma soprattutto è un premio a chi la ama e a chi la cerca.

Avete mai riflettuto che non cercare la virtù o non amarla è la cosa più facile di questo mondo?

Perché per cercarla, per amarla ci impone un cammino e una salita.

La virtù è invisibile agli occhi!

È invisibile agli occhi superficiali.

In conclusione: la virtù ci chiede coraggio e attesa, però quando si raggiunge dona fama perenne.

Nicola Incampo

Pubblicità

Pubblicità
Copy link
Powered by Social Snap