venerdì, 19 Aprile 2024

Oggi vorrei fare una riflessione sul “Cantico dei Cantici”.

Il Cantico dei cantici o semplicemente Cantico  è un libro contenuto sia nella Bibbia ebraica che nella Bibbia cristiana.

Il nome del libro, con la ripetizione della parola “cantico”, secondo il modo di costruire le frasi della lingua ebraica, è da considerarsi come un superlativo e andrebbe reso come “il più sublime tra i cantici”.

Attribuito al re Salomone, celebre per la sua saggezza, per i suoi canti e anche per i suoi amori, il Cantico dei cantici fu composto non prima del IV secolo a.C. ed è uno degli ultimi testi accolti nel canone della Bibbia, circa un secolo dopo la nascita di Cristo.

È composto da otto capitoli contenenti poemi d’amore in forma dialogica tra un uomo (Salomone) e una donna (Sulammita).

“Il mondo intero non vale il giorno in cui Israele ricevette il Cantico dei Cantici: tutte le Scritture sono sacre, ma il Cantico dei Cantici è la più sacra di tutte.”

Questa straordinaria definizione è stata detta da Rabbi Aqiba.

Rabbi Aqiba, apprezzato studioso ebreo del tempo, dimostrò in modo persuasivo che il Cantico dei Cantici era scrittura divina e che, anzi, questo capolavoro rappresentava il punto più alto delle scritture ebree.

Di Rabbi Aqiba si racconta per esempio che a differenza della gran parte dei maestri, Rabbi Akivà non iniziò a studiare da piccolo, ma solo a quarant’anni, colpito d’improvviso dalla necessità di conoscere le leggi della Torà.

Per gli ebrei di quel periodo il Cantico era una raccolta di poemi sulla santità dell’amore e sull’amore di Dio verso Israele.

I cristiani videro nel testo un’allegoria dell’intimo rapporto che legava Cristo alla chiesa: la sua liricità esplicita e le ricche descrizioni dell’unione fisica e spirituale tra due persone che si amano, esprimono la profonda passione per ogni essere umano di Gesù in quanto amante dell’umanità. Dio è l’amante che corteggia l’umanità e che anima tutti i rapporti d’amore.

Il Cantico dei Cantici esercita uno straordinario fascino.

Si apre con un desiderio di baci, di carezze «più inebrianti del vino, dell’esalare dei profumi».

«Attirami a te», dice l’amata. E come estasiata, continua: «a ragione di te ci si innamora».

Bisogna ricordare che già all’interno della stessa Bibbia l’amore sponsale è spesso allegoria dell’amore di Dio per il suo popolo, la sua creatura.

Per i cristiani, quindi, è piuttosto logica l’allegoria che interpreta il Cantico un inno all’amore di Cristo per la chiesa, o dell’anima con il suo Signore. Così hanno fatto i mistici di tutte le epoche.

 «Dove ti sei nascosto,

Amato, abbandonando me

gemente?                                                   

Come un cervo fuggisti

dopo avermi ferita;

uscii invocandoti e te ne eri

andato»

(S. Giovanni della Croce).

Nicola Incampo

Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica

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