venerdì, 26 Aprile 2024

Oggi vorrei fare una riflessione sulla superbia partendo da San Paolo e precisamente dalla Seconda lettera ai Corinzi: “Fratelli, affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia. A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».
Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte”. (2 Corinti 12,7-10)

San Paolo è costretto a difendere il suo ministero contro alcuni «falsi apostoli» che lo accusano e lo screditano davanti alla comunità di Corinto e quindi parla ora di una prova particolare destinato a evitare che egli monti in superbia.

Ecco perché parla di una spina nella carne, di un inviato di Satana, naturalmente inteso in senso metaforico, e soprattutto afferma con forza che quando sono debole, è allora che sono forte.

Questi paradossi esprimono la convinzione di Paolo che è la potenza salvifica di Cristo che opera in lui quando è debole.

Ecco perché non solo accetta le prove, ma addirittura si vanta e si compiace in esse.

Un racconto ebraico dice così: “II maestro sembrava non essere assolutamente toccato da ciò che la gente pensava di lui, pur non essendo sempre un rigorosissimo osservante. Quando i discepoli gli chiesero come avessero raggiunto questo grado di libertà interiore, egli rise forte e disse: «Fino a 20 anni non mi è importato nulla di che cosa la gente pensasse di me; dopo i 20 anni mi preoccupavo immensamente di che cosa pensassero i miei vicini; poi un giorno, dopo i 50 anni, capii improvvisamente che essi non pensavano minimamente a me».”

Questo racconto rappresenta in modo immediato l’illusione che l’uomo coltiva spesso di essere un punto di riferimento, un segno glorioso, mentre in realtà è solo una particella nell’immensità dell’umanità.

E a pensare che in questo periodo di pandemia constatiamo che la società è per eccellenza la “società dell’immagine”.

Per molti oggi il vero vivere è apparire come se l’esteriorità fosse la verità, o meglio come se il successo fosse l’unica aspirazione.

E’ necessario ritornare all’autenticità, perché l’immagine sfiorisce con il tempo e la bellezza è un sogno che subito si spegne, ma soprattutto perché il successo è una meteora.

Ancora una volta Gesù ci traccia la via: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché siete simili a sepolcri imbiancati, che appaiono belli di fuori, ma dentro sono pieni d’ossa di morti e d’ogni immondizia. Così anche voi, di fuori sembrate giusti alla gente; ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità.”

Nicola Incampo

Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica

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