venerdì, 26 Aprile 2024

I grandi cambiamenti sociali quali l’ invecchiamento, la mobilità
della popolazione, l’aumento di nuclei familiari con uno o due componenti, la
riduzione della capacità di spesa, unitamente ai cambiamenti economici come la
crescita smisurata di richiesta turistica, di attività innovative, di attività
culturali, di attività che attengono a filiere alimentari corte, di artigianato
di qualità, e più in generale la crescita della “cultura immateriale” pongono,
paradossalmente, la città storica in posizione privilegiata rispetto alle parti
più recenti, ma per calare queste nuove realtà e questi cambiamenti in contesti
delicati quali le parti storiche, occorrono attenzioni e regia pubblica.
Ecco perché serve investire sui Centri Storici con strategie
appropriate: essi sono le vere “fabbriche sostenibili” di cui il nostro Paese
ha disperato bisogno per consolidare quella qualità di vita che rappresenta,
oltre che ricchezza culturale, il nostro maggiore fattore di competitività
territoriale. 
E’ quanto emerso a Matera nel corso del Convegno “Patrimonio e
qualità dell’architettura tra tutela e trasformazione della città storica”
organizzato dal Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti
e Conservatori e inserito tra le iniziative italiane dell’Anno Europeo del
Patrimonio Culturale 2018.
“I centri storici italiani – sottolinea il Consiglio Nazionale –
non sono più oggetto di attenzione nè da parte della classe politica italiana, né
da parte della cultura disciplinare, né di quella amministrativa. Dopo i
dibattiti del secolo scorso, la stagione dei Piani di Recupero si è conclusa
rapidamente alla fine degli anni ‘90 con la chiusura delle linee di
finanziamento che hanno azzerato gli investimenti strutturali su queste
parti di città che pure rivestono, almeno nell’immaginario collettivo, il
luogo della nostra identità. Questo ruolo di “luogo dell’anima italiana” è ben
presente nei milioni di turisti che queste parti urbane attirano e nei  numerosi episodi di vivacità imprenditoriale
che comunque danno vita ai nostri Centri città”.
“Se si analizza quanto accaduto negli ultimi decenni nei centri
storici, le indagini fotografano fenomeni contraddittori, sempre estremi: ora
luoghi di grande richiamo turistico, ora luoghi dell’abbandono da parte dei
residenti, ora luogo delle movide notturne, ora luogo per soli immigrati, ora
luogo di eccellenti recuperi culturali, ora luoghi dell’abbandono
irreversibile”.
La realtà è che molti centri storici sono effettivamente decaduti
e altri al contrario, sono vitalissimi e in grado di trascinare la qualità
socio-economica dell’intera città cui afferiscono: dimensioni e contesto fanno
la differenza. I centri storici per un secolo sono stati guardati, studiati,
pianificati all’interno di un irreale recinto che divideva la città
contemporanea da quella storica. Lì dentro si sono pianificati Piani di
Recupero o Norme speciali, senza la piena consapevolezza che la vita, l’assetto
e l’equilibrio della città storica dipende dall’osmosi con il contesto,
relazioni e ricadute che esistono a prescindere dalla loro considerazione da
parte di Amministratori, progettisti, portatori d’interesse in genere.
Stato Centrale e Amministrazioni locali hanno investito negli
ultimi anni molto poco sulle parti storiche delle città relegando a vincoli di
tutela il ruolo di “Amministrazione” del Bene comune e del Patrimonio
culturale, economico e sociale che essi rappresentano. I privati, laddove
l’economia è vitale, hanno realizzato recuperi e restauri, evitando in molti
casi la rovina del patrimonio, ma questi interventi non hanno avuto – nè lo
potevano avere – il respiro di recupero strutturale.
 
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