giovedì, 9 Maggio 2024

Stefano e Nina, due vite slegate, due dolori che segnano per sempre: sono loro i protagonisti del nuovo romanzo di Francesco Carofiglio Le nostre vite (Piemme Editore), sospeso tra presente e passato, con un difficile viaggio per ritrovare i ricordi.

Stefano ha perso la memoria dopo un brutto incidente in cui ha perso i genitori – “(…) Non ricordava nulla di suo padre e di sua madre, morti nell’incidente, qualche mese prima. A volte si sforzava di ricordare i loro volti, la voce, un gesto qualsiasi, ma la sua memoria era serrata, chiusa per sempre, dopo il risveglio dal coma. Era diventato orfano di tutto, dei suoi genitori, della sua casa, di ogni dettaglio della sua vita passata”.

È vivo per miracolo e soltanto l’amore incondizionato del nonno, Zeno, gli ha permesso di rinascere. È come se però fosse rimasto amputato di quella parte dell’infanzia e dell’adolescenza che quel trauma si è portato via. Trent’anni dopo, lo ritroviamo dalla Puglia a Parigi, insegna filosofia alla Sorbona, il suo ultimo saggio è diventato un bestseller internazionale, racconta la sua drammatica esperienza, la perdita, il mistero della memoria recisa.

Nina, sedici anni, figlia di un diplomatico, sballottata da una nazione all’altra non ha tempo di ambientarsi, di fare amicizia, di radicarsi in qualche modo per trovare se stessa. Non sa ancora cos’è l’amore fin quando, in una notte d’estate, davanti a un falò su una spiaggia pugliese, il suo sguardo incontra quello di Lupo, di tre anni più grande. Fa parte di un gruppo musicale, è bello e dannato e sembra non avere occhi che per lei. Per Nina, in vacanza con sua madre, sarà l’estate che le cambierà la vita: perché da quella notte niente sarà come prima.

Se per Stefano ritrovare la memoria è quasi un’ossessione (è seguito da una psicoterapeuta, ha un diario del sonno), Nina proprio non riesce a cancellare il passato: le loro sono vite spezzate, lontane nel tempo e nello spazio eppure vicinissime. Sono legati da un segreto, qualcosa che forse li farà incontrare, almeno per un istante.

Intimista, introspettivo ma anche molto diretto: lo stile di Carofiglio è così, e il lettore lo travolge. Si entra subito in empatia con i personaggi e subito ci si misura con i loro drammi. L’autore non edulcora, non addolcisce ma racconta una vicenda complessa e struggente nella quale la vera protagonista è la memoria, con la sua potenza sconosciuta e devastante.

Francesco Carofiglio,scrittore, architetto e regista, è nato a Bari. Oltre a L’estate del cane nero, Ritorno nella valle degli angeli e Radiopirata (tutti usciti per Marsilio), ha pubblicato per BUR il romanzo With or without you e per Rizzoli, in coppia con il fratello Gianrico, nel 2007 la graphic novel Cacciatori nelle tenebre e nel 2014 La casa nel bosco. Per Piemme, ha scritto Wok, Voglio vivere una volta sola, Una specie di felicità, Il Maestro, la saga di Jonas e il Mondo Nero (per i tipi del Battello a Vapore), L’estate dell’incanto (Premio Selezione Bancarella, in corso di pubblicazione in diversi Paesi europei) e la raccolta Poesie del tempo stretto, che ha anche interamente illustrato.

L’INTERVISTA

Come è nata la trama del suo nuovo romanzo?

“È nata diversi anni fa, dopo aver letto un saggio sul funzionamento dell’ippocampo – quella regione del cervello deputata a custodire i ricordi – e sulle conseguenze dei traumi che possono determinare quelle che si chiamano insufficienze mnemoniche autobiografiche. Da lì mi sono chiesto cosa sarei io senza l’infanzia, senza l’adolescenza, senza quei ricordi… Il protagonista, Stefano, ha iniziato a delinearsi da quel primo approfondimento, poi le storie prendono forma in maniera inattesa, i personaggi prendono strade imprevedibili. Ma non è solo la storia di un personaggio, sono più storie parallele che a un certo punto, in una maniera quasi magica, si intrecciano.”

Ha qualcosa in comune con Stefano?

“Mentre scrivevo avrei risposto: “Sicuramente nulla”. Rileggendomi, confrontandomi con il romanzo quando è diventato un progetto non più mio – è in libreria ed è di chi vorrà leggerlo – mi rendo conto che qualche piccolo punto di contatto c’è. Il protagonista ha una gatta e anch’io ne ho una, e vive solo come me. Certo, non ho alle spalle un trauma di quel tipo, sicuramente mi faccio delle domande che sono abbastanza simili a quelle che si pone lui, sono anch’io curioso delle persone, del mondo. Mi metto in ascolto.”

C’è un personaggio bellissimo che solo in apparenza rimane sullo sfondo: la mamma di Nina. Si è ispirato a qualche figura femminile a lei vicina?

“No, è uno dei personaggi che si è sviluppato naturalmente.  Nina è una sedicenne che vive un’esperienza così attesa, innamorarsi in un’estate davanti a un falò, davanti a una spiaggia ma non sempre le cose vanno come ci aspettiamo… C’è questo rapporto, che in quell’età è sempre molto conflittuale, tra madre e figlia. Un rapporto che però nella necessità, nel passaggio cruciale, nel momento più critico trova un punto forte d’incontro, una solidarietà che legherà indissolubilmente le due donne.”

Perché ha deciso di lasciare un finale aperto, lasciando probabilmente al lettore una sensazione di “opera incompiuta”?

“Non so se incompiuta sia la parola giusta. La soluzione più semplice e tranquillizzante era quella di creare un finale ma la vita è un po’ diversa e io ho provato a lavorare stando sempre accanto ai personaggi ma sapendo che devono avere tre dimensioni – quindi le insicurezze, le fragilità e anche delle zone oscure. In quel caso però, per quello che accade e che non possiamo svelare, l’evoluzione dei personaggi porta alla necessità di un tempo, di una sospensione che non esclude nessuna delle possibilità.”

Non inserire la pandemia nel romanzo è stata una scelta?

“L’idea è partita prima della pandemia ma Le nostre vite l’ho scritto durante il lockdown. Non volevo che ci fosse questo rumore di fondo così forte, volevo che la vicenda già di per sé molto complessa, legata anche a delle forme di claustrofobia dell’anima, non fosse condizionata. Volevo che ci fosse una situazione di normalità del mondo esterno, che mi auguro possiamo riguadagnare velocemente, per concentrare tutta l’attenzione nel mondo interno dei personaggi.”

La sua è una scrittura molto evocativa, cinematografica. Potrebbe esserci una trasposizione sul grande schermo?

“Sì, è un’ipotesi. Ma non posso dirle altro.”

Rossella Montemurro

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