domenica, 28 Aprile 2024

Riceviamo e pubblichiamo da Rossella Ciarfaglia:

L’undici settembre del 2001 fu il giorno in cui cominciai le superiori, o giù di lì.
Erano i giorni de La rabbia e l’orgoglio, delle manifestazioni pacifiste, di chi era a
favore delle missioni di pace e di chi non voleva chiamarle così; era l’indomani del G8
di Genova, dove non si capiva ancora se i nostri fratelli maggiori fossero andati a
distruggere o a farsi spaccare la testa, in nome di un mondo migliore che nessuno
sapeva; erano i giorni in cui pensavamo fosse sufficiente boicottare quanto di
multinazionale per sentirci a posto, e poi, ancora, fare uno sciopero con la bandiera della
pace e indossare una maglietta del Che.
Cosa è rimasto di tutto ciò? Di noi che invidiavamo i sessantottini, in assenza di
cause per cui combattere e che, invece, ne avevamo di ragioni per migliorare la società?
La verità è che il mondo (non) è cambiato e nel trascinarsi con le sue solite nefandezze,
i sogni di una generazione si sono persi per strada. Noi che combattevano la peggio
globalizzazione per un mondo equo e non contrapposto, in cui non vi fossero più un Sud
e un Nord, dal cattivo capitalismo siamo stati invece inghiottiti; nelle multinazionali ci
siamo andati a lavorare, sentendoci pure fighi per questo (è alla competitività e
all’individualismo che, in fondo, ci avevano educato). Intanto, la bandiera della pace e la
maglietta di Emergency finivano nel cassetto della cameretta di casa, impegnati come
eravamo a renderci indipendenti dalle famiglie, nell’era del precariato, dove il lavoro è
diventato una merce.
E se avessimo invece insistito, più a fondo e con più maturità, nelle nostre
battaglie? Saremmo stati in grado di proporre un modello diverso per Kabul? Anziché
smarrirci, avremmo risposto con una soluzione pratica agli interrogativi che oggi ci
poniamo? E cioè, a quale modello di missione di pace riferirsi? Quale modello di
democrazia può esportarsi e quale modello può creare un mondo più giusto senza fare
guerre e senza imporsi a altri Paesi?
Nel domandarsi cosa è andato storto, il nostro modello di società intanto si
frantuma, incapace di imporsi con i suoi valori universali, abituati come eravamo a far
leva sull’economia e basta, sull’individualismo e nulla più. Cosicché oggi la gente
scende in strada, a cinquant’anni e non a venti, per rivendicare pretese e non diritti,
confondendo un divieto con una negazione di libertà, si chiede se credere o no ai
vaccini, come se stesse parlando di Dio, mentre il mondo, là fuori, pullula di dittature e
nega i diritti che dovremmo esportare.

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