lunedì, 29 Aprile 2024

L’omelia di monsignor
Pino Caiazzo per le esequie dei fratelli di Miglionico travolti da una
mietitrebbia mentre stavano lavorando:
“Carissimi, quello che
stiamo vivendo è uno dei momenti in cui non bisogna dire parole ma mettere
insieme mente, cuore e in particolare la preghiera fissando queste due bare.
Dentro ci sono due corpi,
quelli di Giovanni e Francesco che durante una delle tante giornate di lavoro,
sotto il sole cocente, sono rimasti travolti e uccisi dalla stessa macchina che
doveva raccogliere il grano per diventare pane, sostentamento per loro e i
familiari.
Penso al dolore della
mamma Marianna, delle loro spose, Gina e Bice, dei figli Marianna, Antonio e
Lucia, Marianna, Grazia e Valentina, del fratello Domenico, dei familiari, di
un’intera comunità civile e religiosa che vive questo momento di sbigottimento.
E’ un dolore che appartiene a tutti, un dramma perché si è consumato nel mentre
lavoravano e il sudore rigava i loro volti e i loro corpi.
Noi siamo qui non per
commentare il tragico evento. Siamo tutti bravi ad esprimere giudizi, ma a noi
è chiesto il silenzio vivendo questo dolore come “nostro” offrendo, soprattutto
ai familiari, la nostra vicinanza piena di affetto sincero che continui nel
tempo, sostenuti e illuminati dalla preghiera.
Il brano del vangelo che
abbiamo ascoltato ci presenta il momento della morte di Gesù: “Era verso
mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino
alle tre del pomeriggio. Il velo del tempio si squarciò nel mezzo. Gesù,
gridando a gran voce, disse: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».
Detto questo spirò”.
Gesù morì verso le tre
del pomeriggio. Esattamente come quel giorno a Gerusalemme, anche qui, a
Miglionico, è sceso il buio. E’ come se improvvisamente tutti fossimo
sprofondati nelle tenebre.
Ma un interrogativo ci
stiamo ponendo, credenti e non: perché queste morti? Perché è successo? Interrogativi
che ci daranno mai una risposta ma ci portano ancor di più nel buio facendoci
smarrire completamente.
Ecco perché ci troviamo
davanti al Crocifisso che tanto caro e adorato è a Miglionico: contempliamo
come è morto Gesù. Gridò forte prima di morire consegnandosi al Padre e non al
nulla.
Questa è la nostra
speranza: nella tragicità della morte, ingiusta come sempre lo è la morte, e
nel mentre il dolore logora e lascia senza parole, vivere la certezza che, come
Gesù, anche Giovanni e Francesco avranno consegnato la loro vita nelle mani di
Dio, Lui che, attraverso il Figlio Gesù, ci ha promesso la vita eterna.
Non è stato forse proprio
Gesù che ci ha detto: “Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano con me
dove sono io, perché contemplino la mia gloria” (Gv 17, 24).
Fuori da questa certezza
non siamo in grado di dire a voi familiari parole di consolazione che siano
vere, in grado di aiutarvi ad asciugare le lacrime per una morte così
incomprensibile.
S. Paolo, nella prima
lettura che abbiamo ascoltato, ci illumina: “Non vogliamo, fratelli, lasciarvi
nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi
come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù è morto e
risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono
morti”.
La mia presenza, oggi a
Miglionico, è quella di tutta la nostra Chiesa locale che, attraverso queste
povere parole cercano di darvi forza, coraggio, e dirvi che vi siamo
sinceramente vicini.
Questi nostri fratelli,
dicevo, sono morti mentre lavoravano nel proprio campo e stavano raccogliendo
il frutto dei loro sacrifici, perché amavano la terra e la rispettavano. Da
questo fatto dobbiamo imparare, sia io che voi, che siamo stati creati per
qualcosa di più grande. Indipendentemente se abbiamo fede o meno, ma qui, in
questa chiesa, davanti a queste due bare c’è una grande lezione di vita e guai
a noi se non prestassimo attenzione. Il lavoro è certamente un bene grande ma,
purtroppo, spesso mette a repentaglio la vita.
Sembra assurdo ma da
questi eventi, un prezzo enorme da pagare, deve crescere l’amore verso la vita
affinchè la nostra convivenza diventi casa abitabile dove la comunione, la
compartecipazione, la solidarietà, la vicinanza prendano posto all’indifferenza
e alle divisioni e lotte. 
Pensando alla terra,
quella terra dalla quale noi proveniamo e alla quale ritorniamo; accostando la
vita dei nostri fratelli Giovanni e Francesco mi vengono in mente le parole del
salmista che dice: “Tu fai ritornare l’uomo in polvere e dici: «Ritornate,
figli dell’uomo». Ai tuoi occhi, mille anni sono come il giorno di ieri che è
passato, come un turno di veglia nella notte. Sono come l’erba che germoglia al
mattino: al mattino fiorisce, germoglia, alla sera è falciata e dissecca”.
Tutti siano interpellati
da queste morti, ma tutti siamo invitati a intravedere che la vita dev’essere
vissuta ogni giorno con entusiasmo, impegnandoci a dare tutto quello che siamo,
tutto quello che abbiamo.
Da questi corpi ormai
freddi e silenziosi parli l’amore capace di animare la nostra esistenza ad un
impegno concreto per tessere relazioni che ci facciano ritornare ad essere più
umani.
A voi familiari dico:
anche se non vi conosco vi accolgo come figli e vi porto nel mio cuore di padre
e pastore per mettervi nelle mani di colui che è morto ingiustamente sulla
croce, Gesù nostro Signore e Maestro, e in quelle della Vergine Addolorata che
ha assistito impotente alla morte del Figlio. Questo momento segnato dalle
lacrime e dai gemiti del dolore, possa essere toccato dal passaggio della loro
presenza per curare una ferità così profonda. Amen”.
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