venerdì, 26 Aprile 2024

Porsi la domanda su cosa s’intende per lusso significa porsi una domanda su una delle manifestazioni della bellezza e del piacere e su quella che probabilmente riguarda la loro natura più intima e propria ossia l’effimericitá. È una domanda che sollecita una riflessione profonda anche su quella che è l’essenza dell’umanità e la sua continua ricerca del piacere e di piacere.

Se l’esperienza della bellezza è immediata, quella del lusso può essere considerata frutto di una costruzione sociale o psicologica. Possiamo dunque affermare che, pur se elusivo, il concetto di lusso, la sua definizione, è strettamente correlata alla percezione psicologica della realtà. In un’epoca in cui il credito al consumo ha consentito a chiunque di poter entrare in possesso di quei beni rari ed “esclusivi” superando il confine di quello spazio che fino ad un secolo fa era accessibile ai pochi fortunati detentori di un potere economico e sociale, oggi la natura di questo concetto si arricchisce di una serie di significati afferenti al livello qualitativo della vita.

Fino al XIX secolo possedere ed ostentare beni di lusso significava denunciare il proprio status e, contestualmente, l’adesione a dei valori di natura etica e religiosa. Già nel XVIII secolo questa funzione viene messa in discussione dall’introduzione kantiana del giudizio di gusto che pone come elemento fondativo dell’attribuzione del valore della bellezza e della raffinatezza il sentimento ed il grado di consapevolezza e dunque, di conoscenza, del dato sensibile. Kant affermerà che il piacevole non è il bello ma, la bellezza, provoca piacere. Tanto più il soggetto riceve un’educazione estetica tanto più potrà godere del piacere dell’esperienza sensibile provocata dalla fruizione. Sempre alla fine di questo secolo s’imporrà l’idea del bello e utile che verrà prontamente sconfessata dalla pratica quotidiana del desiderio di possesso di oggetti assolutamente inutili, oggetti che soddisfano esclusivamente il desiderio di bellezza. D’altro canto, due secoli più tardi, la nascita del design segnerà l’adesione ad un’ideale estetico più alto e democratico che rivendica come diritto la bellezza consentendo così a chiunque di poter migliorare la qualità della vita circondandosi sì di oggetti funzionali ma piacevoli, oggetti che hanno acquisito lo status di opere d’arte.

Se è pur vero che non possiamo ridurre il concetto di lusso alla semplice possibilità di accedere a beni o servizi esclusivi, è anche vero che non possiamo non affermare che ci sono ben altri elementi importanti che determinano la nostra esperienza legata al piacere di godere del lusso. Elementi che non possono essere categorizzati od oggettivizzati poiché la nostra capacità di cogliere questa sensazione e di provare piacere, dipende dal nostro modus vivendi, dall’idea che abbiamo di noi stessi.

Con la rivoluzione industriale e la generalizzazione del mondo delle merci il consumo diviene atto pratico nella sfera domestica. La meccanicizzazione e l’organizzazione scientifica del lavoro inducono a rendere sempre più labile il confine fra lavoro e non-lavoro. Subentra così la “società del tempo libero”, una società per la quale il lavoro non è altro che un momento della vita quotidiana e, del resto neanche il più importante. E’ la società dei soggetti autonomi, come afferma Dumazedier1, nella quale riposo, divertimento e valorizzazione del sé, si alternano ai tempi di lavoro. Il lavoro è vissuto, il più delle volte, come costrizione, un obbligo, una punizione, un ostacolo alla possibilità di rendere manifesta le qualità degli individui. Questo processo ha portato ad un nuovo modo di considerare il rapporto fra “ricchezza” e “valore”. Oggi assistiamo ad una sorta di ribaltamento: se è pur vero che la società dei consumi esiste ancora, la sua efficacia è certamente diminuita poiché non è più la capacità e la modalità di consumo che favorisce e avvalora il senso di appartenenza ad una società non è la possibilità di accedere alla “rete”.

La società contemporanea è una società liquida dove i modi di vivere sono livellati. Il lusso, in questo contesto, non è più unico, raro, limitato ma può essere duplicato, imitato, riprodotto. Il lusso si lega ad una nuova concezione di tempo: il tempo-piacere ossia, il tempo libero, il tempo per sé, quello spazio edonistico dedicato alla cura del noi che riconosce il valore incommensurabile delle “cose senza prezzo”. Conseguentemente siamo indotti a riflettere sui concetti di utile ed inutile che, a questo punto, acquisiranno nuovi significati. Utile ed inutile (dove per inutile intendo tutto ciò che non ha un valore d’uso specifico, tutto ciò che può essere considerato un capriccio, superfluo) in quest’ottica si coappartengono, coabitano, allorquando, grazie alla mia esperienza, “l’inutile rivela i suoi lati utili” provocando in noi immenso piacere. Come afferma Thierry Paquot “sono segnali che non tradiscono e solo voi percepite. Né la pubblicità, né un messaggio promozionale, né il consiglio di un vicino ci indicheranno l’utilità dell’inutile. La prova si ottiene con l’esperienza, che non si trasmette. Questa esperienza io la chiamo lusso e le attribuisco delle valenze utopiche”2.

Il lusso appare dunque, con una definizione che ritroviamo in Fourier, come ciò che mira alla gioia più completa dei sensi3. Esso, dunque, non appartiene al mondo delle merci ma è, più che altro, la disposizione dell’essere umano alla felicità. “E’ un risultato da raggiungere – come una grazia – e non oggetto da acquistare”4. Esiste una dimensione personale, soggettiva, intima di un lusso che non si può quantificare economicamente. Si tratta di una dimensione nella quale, per esempio, il tempo non è quello che dipende dal movimento ciclico degli astri ma è quello inteso come aion.

La fruizione di un bene di lusso è percepita dai più come l’occasione per confermare l’identità personale come unica e straordinaria e questo ancora emoziona.

1 Joffre Dumazedier, Vers une civilisation du loisir?, Seuil, Paris, 1980.

2 Thierry Paquot, Elogio del lusso ovvero l’utilità dell’inutile, Castelvecchi, Roma, 2007, pag. 74

3 Charles Fourier, Teoria dei quattro movimenti, Utet, Torino, 1972

4 Thierry Paquot, Op. cit., pag. 83

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