sabato, 20 Aprile 2024

 
Riceviamo e pubblichiamo
dal professor Nicola Incampo, responsabile regionale per l’IRC e la Pastorale
Scolastica della Conferenza Episcopale di Basilicata:
 Quando io ero studente,
il quattro ottobre, a scuola non si andava: tutti noi studenti e non
rivolgevamo lo sguardo a San Francesco.

Chi era San Francesco?

Francesco nacque ad Assisi
nel 1182 da Pietro di Bernardone e da Madonna Pica.

Pietro di Bernardone era
un ricco mercante di stoffe preziose.

Quando nacque il bambino la
madre gli mise nome Giovanni, ma, tornato il padre dal suo viaggio in Francia,
cominciò a chiamare il figlio Francesco in onore della Francia che lo
faceva essere ricco.

L’aspirazione di
Francesco era quella di diventare “Cavaliere” e nel 1205 si unisce al
conte Gentile, che partiva per la Puglia onde essere da lui creato cavaliere

È a questo punto della
vita di Francesco che iniziano i segni premonitori di un destino diverso da
quello che lui aveva sognato.

In viaggio verso la
Puglia, giunto a Spoleto, a notte fatta si stese per dormire. E nel
dormiveglia udì una voce interrogarlo: «Chi può meglio trattarti: il
Signore o il servo?». Rispose: «Il Signore». Replicò la voce: «E
allora perché abbandoni il Signore per il servo?» 

L’indomani Francesco
torna ad Assisi aspettando che Dio, del quale aveva udito la voce, gli
rivelasse la sua volontà.

Trascorre circa un anno
nella solitudine, nella preghiera, nel servizio ai lebbrosi, fino a rinunciare
pubblicamente, nel 1206, all’eredità paterna nelle mani del vescovo Guido e
assumendo, di conseguenza, la condizione canonica di penitente
volontario. 

Francesco veste l’abito
da eremita continuando a dedicarsi all’assistenza dei lebbrosi e al
restauro materiale di alcune chiese in rovina del contado assisano dopo che a
San Damiano aveva udito nuovamente la voce del Signore dirgli attraverso
l’icona del Crocifisso: «Francesco va’, ripara la mia casa che, come vedi,
è tutta in rovina» 

Nel 1208, attirati dal
suo modo di vita, si associano a Francesco i primi compagni e con
essi nel 1209 si reca a Roma per chiedere a Innocenzo III
l’approvazione della loro forma di vita religiosa. Il Papa concede loro
l’autorizzazione a predicare rimandando però a un secondo tempo l’approvazione
della Regola.

Spinto dal desiderio
di testimoniare Cristo nei paesi musulmani, Francesco tenta più volte di
recarvisi.

Finalmente nel 1219
raggiunge Damietta, in Egitto, dove, durante una tregua nei combattimenti della
quinta crociata, viene ricevuto e protetto in persona dal Sultano al-Malik
al-Kamil.

Rientrato ad Assisi
nel 1220 Francesco rinuncia al governo dei frati a favore di uno dei
suoi primi seguaci: Pietro Cattani. Non rinuncia però ad esserne la guida
spirituale come testimoniano i suoi scritti.
Il 30 maggio 1221 si radunò in Assisi il capitolo detto “delle
stuoie” al quale partecipò un numero davvero rilevante di frati (dai
3000 ai 5000), si discusse il testo di una Regola da sottoporre all’approvazione
della Curia romana e fu nominato frate Elia vicario generale al posto
di Pietro Cattani, morto il 10 marzo di quell’anno.

Durante la notte di Natale
del 1223, a Greccio, Francesco volle rievocare la nascita di Gesù, facendo
una rappresentazione vivente di quell’evento per vedere con gli occhi del
corpo i disagi in cui si è trovato.

È da questo episodio che
ebbe poi origine la tradizione del presepe.

Dopo il capitolo di
Pentecoste del 1224 Francesco si ritirò con frate Leone sul monte della Verna per
celebrarvi una quaresima in onore di san Michele Arcangelo. Lì, la tradizione
dice il 17 settembre, Francesco avrebbe avuto la visione del serafino, al
termine della quale nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire
gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso uomo
crocifisso.

Nell’ultimo biennio di
vita di Francesco si colloca anche la composizione del Cantico delle
creature.

Quando le sue condizioni
si aggravarono in maniera definitiva Francesco fu riportato alla Porziuncola,
dove morì nella notte fra il 3 e il 4 ottobre 1226. Il giorno seguente il
suo corpo, dopo una sosta presso San Damiano, fu portato in Assisi e venne
sepolto nella chiesa di San Giorgio.

Francesco d’Assisi fu
canonizzato il 19 luglio 1228 da Papa Gregorio IX. Il 25 maggio 1230 la
sua salma fu infine trasferita dalla chiesa di San Giorgio e tumulata
nell’attuale Basilica di San Francesco fatta costruire celermente da frate Elia
su incarico di Gregorio IX tra il 1228 e il 1230.

Leggo sempre ai miei
alunni dai “Fioretti di San Francesco” La perfetta letizia:

“Era una giornata
d’inverno molto fredda. Pioveva e soffiava un vento gelido. San Francesco e
frate Leone venivano a piedi da Perugia a Santa Maria degli Angeli. Ad un
tratto san Francesco si fermò, chiamò frate Leone, che si trovava qualche passo
più avanti, e gli disse: «O frate Leone, anche se i frati minori dessero in
ogni terra grande esempio di santità, scrivi e tieni bene a mente che non
sarebbe in questo la perfetta letizia». Proseguirono la strada e, dopo un poco,
per la seconda volta san Francesco chiamò frate Leone: «O frate Leone, se anche
i frati minori potessero ridare la vista ai ciechi, l’udito ai sordi e la
parola ai muti, guarire gli storpi e gli zoppi, e, cosa maggiore di tutte,
risuscitare un morto da quattro giorni, scrivi che non sarebbe in ciò la
perfetta letizia». Ripreso il cammino, ancora san Francesco si fermò e gridò
forte: «O frate Leone, se il frate minore conoscesse tutte le lingue del mondo
e possedesse tutta la scienza tanto da saper fare profezie e rivelare i segreti
delle coscienze e degli animi, scrivi che nemmeno in ciò sarebbe la perfetta
letizia. Andato un poco più oltre, san Francesco chiamò ancora con forza frate
Leone: «O frate Leone, pecorella di Dio, per quanto il frate minore parli in
una lingua angelica e conosca il corso delle stelle e le proprietà delle erbe e
tutti i tesori della terra e tutti gli uccelli, i pesci e gli altri animali e
gli alberi, le pietre, le radici, le acque, tuttavia scrivi che neppure in questo
sarebbe la perfetta letizia.» Fecero ancora un po’ di strada e san Francesco,
di nuovo fermatosi, continuò: «O frate Leone, anche se i frati minori sapessero
predicare così bene da convertire tutti gli infedeli alla fede di Cristo,
scrivi che neppure qui sarebbe perfetta letizia». E siccome questo modo di
parlare durava da ben due miglia, frate Leone, meravigliato da queste parole,
chiese allora a Francesco: «Padre, io ti prego in nome di Dio: dimmi dove è
perfetta letizia». San Francesco gli rispose: «Quando noi arriveremo al nostro
convento di Santa Maria degli Angeli, e, bagnati di pioggia, gelati per il
freddo, infangati e pieni di fame, busseremo alla porta e il portinaio, verrà
adirato a chiederci “Chi siete voi?”, e diremo “Noi siamo due vostri confratelli!”,
ma questi ci risponderà “Voi mentite, anzi siete dei briganti, che andate per
il mondo a ingannare e rubare le elemosine dei poveri”, cosicché non ci farà
entrare e ci costringerà a stare fuori per tutto il giorno e la notte sotto la
pioggia e la neve, ma noi sopporteremo con pazienza e senza protestare e
arrabbiarci la sua crudeltà, presumendo che non ci abbia riconosciuti, scrivi
che qui è perfetta letizia. E se riproveremo più volte a chiedere al guardiano
di aprirci la porte e costui dapprima ci caccerà con parolacce e ceffoni, e poi
alla nostra insistenza risponderà picchiandoci duramente, e noi riusciremo a
sopportare tutto questo pensando alle pene subite dal Cristo Signore, scrivi
che qui è perfetta letizia. E ora, frate Leone, ascolta la conclusione: il dono
più grande che Cristo può concederci è di vincere noi stessi e saper sopportare
per amor suo disagi, dolori, insulti. Solo di questa nostra capacità ci
possiamo gloriare, perché tutto il resto appartiene a Dio.»

 
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