giovedì, 25 Aprile 2024

Le donne nei romanzi di Silvia Avallone sono sempre descritte in maniera totalizzante. E ti entrano dentro. Accade con Elena e Beatrice, le protagoniste adolescenti di Un’amicizia (Rizzoli), ma anche con le loro madri, Annabella e Ginevra.

Quella di Elena e Beatrice è un’amicizia insolita perché in comune non hanno niente e probabilmente si completano. Elena si è trasferita, obbligata da sua madre, a T. (una cittadina sulla costa tirrenica), da Biella. Veste male, non esalta la propria femminilità, ama solo i libri. Ha alle spalle una famiglia sfilacciata: una mamma scapestrata e molto poco materna, un fratello che ha un debole per le canne e un padre professore universitario che sembra vivere in un mondo a parte. Proprio per tentare di ricostruire la famiglia, Annabella – troppo egoista, troppo persa nell’inseguire i suoi sogni, quasi sia lei un’adolescente – decide di andare a T dove vive e lavora il papà dei ragazzi.

Beatrice, al contrario, ha una famiglia che in apparenza si invidia: l’eleganza e le buone maniere sono di casa dai Rossetti. Ginevra, la madre, tanto raffinata quanto scostante, ha un solo obiettivo: far arrivare Bea dove non è arrivata lei, portare la figlia sulle passerelle e sulle copertine più importanti. E Bea per quell’obiettivo, si impegna al massimo, sempre proiettata sul futuro e su una promessa: far parlare di sé.

Siamo a cavallo tra gli anni Novanta e l’inizio del terzo millennio, quando i telefonini ancora erano merce rara e i social neanche si immaginavano.

Sia Elena sia Beatrice cercano una via di fuga dal destino in cui le hanno incanalate le famiglie.

È Elena, ormai trentenne, che racconta in prima persona, andando a ritroso, quell’amicizia così forte e sbilanciata. Lo fa quando Bea, bellissima, è diventata una star dei social e di quell’amicizia non è rimasto nulla.

“Prima che la conoscessero tutti in tutto il pianeta, Beatrice era una ragazza normale, era mia amica. La migliore, per essere precisi, l’unica che abbia avuto.”

Adesso in tantissimi credono di conoscerla, Beatrice: sanno cosa indossa, cosa mangia, dove va in vacanza. La ammirano, la invidiano, la odiano, la adorano. Ma nessuno indovina il segreto che si nasconde dietro il suo sorriso sempre uguale, nessuno immagina un tempo in cui “la Rossetti” era soltanto Bea – la sua migliore amica.

Parlare di Beatrice è un pretesto per ricordare gli anni dell’adolescenza. Elena rimarrà sola con il padre a T dopo che la madre “per farla crescere” tornerà a Biella con il fratello, si innamorerà di Lorenzo (anche lui, che ha alle spalle una famiglia “bene”, è distante dal suo status) e si legherà a Bea, nonostante le contraddizioni della ragazza.

Sono pagine belle, intense che arrivano a dieci anni esatti dall’esordio pluripremiato di Silvia Avallone, Acciaio. Sono pagine che, con lo stile inconfondibile dell’autrice – mai banale, sempre ricercato – mettono a confronto la potenza delle immagini e dell’apparenza con quella delle parole: una dicotomia stridente eppure di stretta attualità e piena di interrogativi. Che siano immagini o parole, “La vita ha davvero bisogno di essere raccontata, per esistere?”

Silvia Avallone è nata a Biella nel 1984 e vive a Bologna. I suoi libri sono tradotti in tutto il mondo.

Per Rizzoli ha pubblicato Acciaio (2010, da cui è stato tratto l’omonimo film), Marina Bellezza (2013) e Da dove la vita è perfetta (2017), e in Francia, nel 2012, Le lynx. Scrive per il “Corriere della Sera”, “Sette” e “La Lettura”.

Rossella Montemurro

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