giovedì, 28 Marzo 2024

Finora non ho scritto nulla sulla pandemia, nulla sulle libertà negate e concesse come fossero arbitri ormai perduti, nulla sul senso di collettività che a tratti ha reso quelle negazioni più sopportabili. Nulla sulla misera capacità del lungo pensare affogata dalla volontà costante del dover fare: ora, qui. Nulla di nulla perché troppo é già stato scritto. Detto. Non detto. Di certo poco ascoltato, intendo con piena coscienza e spirito critico.

Non ho scritto nulla finché non ho incontrato Marta. 18 anni appena. Studentessa brava, perché riflessiva e analitica. Con quello slancio vigoroso verso l’alto dei ragazzi di 18 anni.

Marta ha montato un video breve e intenso, per un progetto scolastico. Il tema era la pandemia coniugata come angoscia. Nel suo testo, di poche battute, ha reso l’angoscia paura e la paura reazione e la reazione coraggio di vivere. L’ha fatto studiando sui suoi libri di filosofia e letteratura e acquisendo una lezione che ci dà.

La dà a noi adulti.

Ha dimostrato che le risposte si possono cercare nei libri, attraverso il pensiero compiuto che ha girato vorticoso tra le parole del passato e le lezioni del presente e che ancora più vorticoso ha girato tra testa e cuore prendendo il meglio delle lezioni che ogni storia del passato può darci: interiorizzare gli eventi e riprodurli pensieri. Quei pensieri che si fanno metodo, approccio alle cose tutte della vita, che siano pandemie o non. Quei pensieri che ci aiutano a proiezioni lunghe perché vengono da lontano e sanno andare lontano, cioè nel futuro.

Marta, grandi occhiali, sorriso timido e lunghi capelli sciolti, sottili, animo di musicista, ha preso 10. Non dalla professoressa di scuola, ma dal saper interpretare intensamente ogni istante, anche quello in cui lo studio si insinua prepotente nelle cose di ogni giorno, più della coscienza, più della tv, più dell’amico del cuore. Quel momento in cui, a 18 anni, ti viene da dire: cavolo allora servono davvero Leopardi, Platone, Kierkegaard! Quel momento che deve protrarsi fino al nostro ultimo giorno, quand’ancora dobbiamo avere il bisogno profondissimo di cercare certe risposte dentro un libro. Un libro che in fondo magicamente ci legge più di quanto noi lo leggiamo.

Scrive così con l’enfasi dei 18 anni, bellissimi e densi:

Dalle testimonianze raccolte traspare il profondo sconvolgimento che il coronavirus ha portato con sè, in maniera del tutto inaspettata.
Ancora una volta la natura, in origine considerata come la madre benigna, si è rivelata matrigna distruttrice, cogliendoci di sorpresa e annullando i desideri che il futuro avrebbe potuto realizzare. Di fronte a questo nemico invisibile il sentimento dominante in noi non è tanto la paura, quanto l’angoscia data dalla consapevolezza della nostra fragilità al cospetto della natura capace di colpirci quando meno ce lo aspettiamo. Ci siamo resi conto, ormai tardi, della felicità di cui godevamo che ora fa parte dei nostri ricordi.
Dei giorni felici della nostra vita ci accorgiamo solo quando hanno lasciato il posto a giorni infelici.
Proprio in questo concetto si realizza la filosofia di Arthur Schopenhauer:

La vita è un continuo oscillare tra noia e dolore, con piccoli spruzzi di felicitá

L’errore primo dell’uomo è quello di non accontentarsi mai, di ricercare sempre qualcosa in più con lo scopo di ottenere la tanto agognata felicità. Ma, in questo modo, si finisce per non vivere concretamente.
Al giorno d’oggi proprio la rimembranza di tutto ciò che avevamo la fortuna di possedere deve guidarci con coraggio al superamento della crisi: in effetti, sono proprio questi momenti che ci portano a comprendere le illusioni da cui siamo circondati. Dobbiamo riuscire anche noi a strappare quel velo di Maya che impedisce il nostro compimento.
Certo proprio grazie alla tendenza all’infinito, di cui parla Giacomo Leopardi nelle sue opere, l’uomo si estrania dalla realtà malinconica e sofferente a cui è soggetto.

L’arte, la poesia, la musica e il buon senso, la morale, sono eccellenti vie di respiro di cui ognuno di noi necessita perché parte della nostra stessa natura.

Non può, peró, permettersi di fermarsi davanti a tale prospettiva: deve andare oltre, deve trovare la via di fuga dalla caverna di Platone e scoprire che al di là della siepe si nasconde molto di più.
La libertà che in parte ci è stata tolta da questo virus, è stata in fondo una specie di benedizione: come succede ai semi, quando crescono nascosti sottoterra. Dall’esterno appare tutto fermo, immobile, futile. In realtà il seme, poco a poco, nel totale fermento cresce, matura, si compie.

Allo stesso modo, l’uomo è posto di fronte ad una scelta, come sosteneva Soren Kierkegaard: guardare al passato con delusione, lamentandosi della sua costante sofferenza, oppure accettare la sua fragilità affidandosi al tempo. L’attesa e il dolore, credo siano la cura di tutti i mali. Il dolore in sé ci fortifica; è la nostra resistenza ad esso che ci annienta. Contemporaneamente dobbiamo soffrire quando ci viene chiesto di farlo, per essere pronti al passaggio.
È vivo colui che si chiede:

Ove tende questo vagar mio breve?

Ebbene, nel bel mezzo di questa pandemia, ci viene chiesto di essere forti e attendere.
Così come ognuno di noi si riconosce nello stato di dolore che vive anche l’altro, dobbiamo accogliere la nostra fragilità nella solidarietà. Proprio grazie alla vicinanza l’uno con l’altro riusciremo ad emergere dalla solitudine che il virus ci costringe a vivere
Questo paradosso ci indirizza a quel salto di qualità il quale ci offrirà l’opportunità di oltrepassare “il mondo come mia rappresentazione”, data dai sensi e dai piaceri, per realizzare la volontà di vivere.
Quest’ultima, a parer mio, non sfocerà nella noluntas bensì in una vera e propria “Pasqua”.
Abbiamo l’occasione di rinascere, più maturi, di trasformare la materia triste, che ora ci appare realtà, in bellezza. Il limite deve diventare il nostro punto di partenza, un destino da trasformare in destinazione.
Proprio questo ciclo di male che porta crisi, ci consente il passaggio all’arte del vivere: così, le debolezze che prima ci costringevano ad osservare il mondo con pessimismo, si riveleranno il mezzo tramite il quale vincere la nostra fragilità alla scoperta di una vita degna d’essere chiamata tale.

Proprio questo ciclo di male che porta crisi, ci consente il passaggio all’arte del vivere: così, le debolezze che prima ci costringevano ad osservare il mondo con pessimismo, si riveleranno il mezzo tramite il quale vincere la nostra fragilità alla scoperta di una vita degna d’essere chiamata tale.

Ha ragione Marta: studiare ci consente il passaggio all’arte del vivere. Un tempo i nostri nonni ce lo raccomandavano sempre: ti devi imparare a campare.

Tutta una vita. Tutti gli attimi di una intera vita.

Io le mille Marta le voglio celebrare, perchè con loro celebriamo un impegno che si costruisce passo dopo passo, illuminato dalla fiamma ardente del sapere, voler sapere, dover sapere. Per realizzare così i segni di ogni percorso nel solco della giustezza. Il resto verrà.

A Vito e Gabriella,

che la deliziosa fanciulla l’hanno fatta. E in doppia copia!

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