giovedì, 25 Aprile 2024

Riceviamo e
pubblichiamo una nota dell’audizione e pubblichiamo una nota sull’audizione parlamentare della delegazione SVIMEZ sul tema del regionalismo differenziato.
Domani, venerdì 19 aprile alle 18 presso la sala convegni
della Camera di Commercio, di Matera si svolgerà una conferenza con Adriano Giannola,
Presidente SVIMEZ.
L’iniziativa è organizzata dal Circolo La Scaletta, con il patrocinio del Comune di Matera, nell’ambito del ciclo di conferenze sul futuro del Mezzogiorno “Autonomia regionale e unità del Paese”.

 
L’articolo 116,
comma 3, della Costituzione prevede che possano essere attribuite alle Regioni
«ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» sulla base di un’intesa
fra lo Stato e la Regione interessata. Ma il merito delle richieste avanzate da
Lombardia, Veneto e (in parte) Emilia-Romagna, e recepite nelle pre intese, con
l’acquisizione di competenze pressoché esclusive in ambiti cruciali, quali
sanità e istruzione, rischia di cristallizzare diritti di cittadinanza diversi a
seconda della regione di residenza e la sostanziale rinuncia, da parte dello
Stato, al perseguimento dell’unità economica e sociale del Paese.

Il tema è posto
con forza da una delegazione della SVIMEZ, composta dal Presidente Adriano
Giannola, dal Direttore Luca Bianchi e dal Vice Direttore Giuseppe Provenzano,
nel corso dell’audizione alla Commissione per le questioni regionali sul tema
del regionalismo differenziato,

Secondo la SVIMEZ,
le richieste di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna non possono che avvenire in
conformità al regime di piena operatività della legge 42 di attuazione
dell’articolo 119 della Costituzione, e dunque solo dopo che, prioritariamente,
vengano definiti i Livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti
civili e sociali, i costi standard e i fabbisogni standard, secondo approcci
non “ragionieristici”, superando il criterio della spesa storica che penalizza
il Mezzogiorno.

La SVIMEZ
anzitutto ha fornito alcuni dati utili a una “operazione verità” sulla spesa
pubblica regionalizzata. Occorre assumere come riferimento un complesso di
spese pubbliche, che oltre al bilancio dello Stato ricomprende enti
previdenziali ed altri fondi, non considerato nelle cifre diffuse sul sito del
Ministero degli Affari Regionali, sulla base dei dati della Ragioneria Generale
dello Stato, a corredo di una delle bozze di intesa (25.2.2019), che
evidenziano un più basso livello della spesa pro-capite nelle regioni che
propongono l’autonomia differenziata; una evidenza che motiva la ben nota
rivendicazione di un “diritto alla restituzione ai territori” di
risorse “indebitamente cedute allo Stato”. Al contrario, le regioni
meridionali presentano un evidente svantaggio nella spesa pubblica pro capite.
I dati del Sistema dei Conti Pubblici Territoriali (CPT) sul complesso della
spesa della P.A. mostra una spesa complessiva per abitante e per settori minore
al Sud, che si ripercuote sulla qualità e quantità della garanzia dei diritti
di cittadinanza.

Un aspetto
immediatamente collegato, fonte di forti perplessità, concerne la richiesta di
trasferimento delle risorse necessarie a finanziare le eventuali competenze regionali
aggiuntive. La previsione secondo cui eventuali ulteriori risorse, derivanti da
miglioramenti di efficienza o aumento della capacità fiscale, siano esclusivo
appannaggio delle regioni ad autonomia differenziata, è incompatibile con i
principi di solidarietà ed uguaglianza, in quanto la perequazione delle risorse
spetta allo Stato, il cui compito prioritario è garantire il “finanziamento
integrale” delle funzioni concernenti i diritti civili e sociali (sanità, istruzione,
mobilità) per tutti i cittadini, in regime di costi standard, su tutto il
territorio nazionale.

Tutto questo
smentisce nei fatti le assicurazioni sulla “neutralità” finanziaria
dell’autonomia. L’iniziale pretesa di trattenere il gettito fiscale generato
sui territori, fondata su un’argomentazione inaccettabile, non è dunque del
tutto superata. È al tempo stesso inconsistente sul piano delle motivazioni e
pericolosa per le conseguenze.

Questa pretesa, a
parere della SVIMEZ, si basa su un duplice errore: in primis non ha fondamento
assumere che il gettito fiscale riscosso determini un “diritto” dei
territori. Il gettito scaturisce da un ben preciso rapporto di diritti e doveri
che intercorre tra lo Stato e ogni cittadino. Inoltre, la stessa quantificazione
del presunto diritto dei territori alla restituzione si basa su una errata
contabilizzazione del dare e dell’avere tra Stato e Regioni.

I Residui fiscali
regionali che si chiede di ridurre altro non sono che l’avanzo primario
regionalizzato e poco o nulla hanno a che fare con il territorio essendo il
risultato, in regime progressivo di imposta, del processo perequativo tra
contribuenti ricchi e poveri, residenti e non nello stesso territorio. E’ il
principio di “equità orizzontale” del federalismo cooperativo al
quale si ispira la riforma del titolo V del 2001 e la legge 42 del 2009 di
applicazione dell’articolo 119.

Per quanto
concerne quindi il tema del Residuo Fiscale ne consegue che, anche prescindendo
totalmente dai significativi effetti territoriali dell’impatto redistributivo,
il saldo da considerare, non è quello definito dal semplice Residuo Fiscale ma
il residuo fiscale “aumentato” ad esempio degli interessi sul debito
pubblico (tra le principali voci di spesa): un Residuo Fiscale-Finanziario.

Da stime condotte
(con criteri estremamente prudenziali) dalla SVIMEZ sulla base delle fonti dei
Conti Pubblici Territoriali, Banca d’Italia, Fondo Monetario Internazionale,
risulta che il Residuo Fiscale-Finanziario della Lombardia è inferiore ai 20
miliardi, rispetto al Residuo Fiscale comunemente computato (2014-2016) in
oltre 40 miliardi. Per il Veneto e l’Emilia-Romagna dal Residuo Fiscale
mediamente computato in oltre 12 miliardi e 11 miliardi si passa ad un Residuo
Fiscale Finanziario pari a circa 4-5 miliardi.

Ben oltre questa
contabilità, difficilmente stimabile e comunque parziale, perché non considera
i flussi redistributivi “alla rovescia” Sud-Nord, la SVIMEZ ribadisce che
“ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” possono essere concesse
– in materie specificamente individuate, sulla base di motivazioni chiare e
della dimostrazione dei miglioramenti di efficienza conseguiti – soltanto dopo
una vera attuazione dei principi costituzionali, anche nel campo del
federalismo fiscale (art. 119 Cost.), per la salvaguardia dell’unità giuridica e
dell’unità economica e sociale del Paese.

 La SVIMEZ, da anni, pone l’accento
sull’interdipendenza, la complessa rete di rapporti commerciali, produttivi, e
finanziari e di reciproci vantaggi che si stabiliscono tra le due aree del
Paese, strutturalmente differenti ma strettamente integrate, che non sono
sistemi a parte e storicamente tendono a crescere (e arretrare) insieme.
Pertanto, in luogo della frammentazione delle politiche pubbliche, per agire
sul contesto istituzionale e per promuovere attivamente lo sviluppo, propone un
più forte coordinamento strategico degli interventi, e un più deciso impegno sul
superamento del divario di sviluppo e di benessere tra le aree, vera condizione
per il rilancio dell’intera economia e società.

 
Pubblicità

Pubblicità
Copy link
Powered by Social Snap