venerdì, 19 Aprile 2024

Da oltre anno vive in una
stanza dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, in attesa di un cuore
nuovo: è stato esaudito il desiderio di Ayrton Ethan (foto L’Eco di Bergamo), un bimbo di15 mesi, e
della sua famiglia originaria del Materano.

Nunzia Cirelli, la sua
«super-mamma» (come l’hanno ribattezzata le volontarie della Cardiochirurgia
pediatrica) è sempre rimasta accanto al piccolo nel lungo soggiorno in
ospedale.

«Non se ne parla mai
abbastanza, la gente non ha informazioni sufficienti sulla donazione degli
organi. – ha dichiarato mamma Nunzia all’Eco di Bergamo – Forse se tutti
sapessero quanta difficoltà e dolore ci sono nei reparti che ospitano le
persone in attesa di un trapianto, capirebbero meglio l’importanza di
informarsi e di firmare il consenso. C’è stato un momento, nella nostra storia,
in cui ero convinta di aver perso mio figlio ed ero pronta a donare tutti i
suoi organi – a parte il cuore, ovviamente – per salvare la vita di altri
bambini. Sono infinitamente grata a quei genitori che in un momento di profondo
dolore hanno detto di sì e hanno offerto ad Ayrton la possibilità di guarire.
Nella lunga notte dell’intervento ho pensato molto a loro, ho pianto, li
porterò con me per sempre».

«Alla nascita – racconta
Nunzia all’Eco d Bergamo – Ayrton non mostrava alcuna anomalia, il suo cuore
era apparentemente perfetto. Cresceva bene, in due mesi il suo peso era
aumentato di due chili, l’altezza di dieci centimetri e non mi aveva dato
preoccupazioni. Poi, da un giorno all’altro, all’improvviso, ha smesso di
urinare. Ho pensato a un’infezione, non riuscivo a capire che cosa gli fosse
successo, perciò l’ho portato all’ospedale. Lo allattavo e fino a quel momento
non si era mai ammalato. Al pronto soccorso i pediatri si sono accorti che il
battito del cuore era troppo rapido, 240 battiti il minuto, e hanno deciso di
fargli una radiografia al torace. La dottoressa ha inserito nel computer il cd
per analizzare l’esito e si è girata verso di me con aria stupita: mi ha detto
che Ayrton aveva un cuore enorme. Mi è crollato il mondo addosso, non riuscivo
a capacitarmi di che cosa stesse accadendo. Il cardiologo ci ha suggerito di
trasferire d’urgenza il bambino all’ospedale di Bari, più attrezzato, perché il
suo cuore funzionava al 20%. È successo tutto così in fretta, non sapevamo cosa
dire, come reagire. Mio marito ha avuto un attacco di panico, non riusciva
nemmeno a guidare. Ci hanno caricato su un’ambulanza per portarci all’ospedale
di Bari, nel reparto di cardiologia, e da allora non sono più tornata a casa.
Era il 15 dicembre del 2017».

«A Bari hanno eseguito
altri esami, poi ci hanno informato che nostro figlio aveva una cardiomiopatia
dilatativa congenita, e che il trapianto era l’unica soluzione possibile. Siamo
rimasti senza parole, perché speravamo ancora che Ayrton Ethan avesse solo
un’infezione, che si potesse in qualche modo curare». È stato molto difficile
mandare giù questa notizia, capire che non c’era nient’altro da fare. «Ci hanno
prospettato il trasferimento in uno dei due centri che in Italia si occupano di
trapianti cardiaci pediatrici: il Bambin Gesù a Roma oppure l’ospedale Papa
Giovanni XXIII, e abbiamo scelto di venire a Bergamo. Abbiamo preso contatto
con il direttore della cardiochirurgia, il dottor Lorenzo Galletti. Sono venuti
a prenderci con un aereo militare, ci hanno scortato fino a destinazione con
un’ambulanza e la polizia. Li guardavo con gli occhi sgranati, perché non mi
ero resa ancora conto fino in fondo della gravità della situazione, per me era
tutto un incubo. Non mi sono nemmeno preparata la valigia, e non sono più
passata da casa. Mia figlia stava male, perché pensava che l’avessi
abbandonata».

Nunzia ha dovuto lasciare
gli altri quattro figli al marito per dedicarsi ad Ayrton a tempo pieno. Ma il
papà e gli altri figli sono in contatto quotidiano con l’ospedale e durante le vacanze
scolastiche vengono a Bergamo per passare del tempo con Nunzia e Ayrton: «Vengono
a trovarmi durante le vacanze e per questo mi considero molto fortunata, ci
sono pazienti in questo reparto che arrivano anche dall’estero e sono
completamente soli, lontani da tutto. Abbiamo dovuto affittare un’altra casa,
perché le associazioni che ospitano le famiglie dei degenti non possono
accogliere tutti i miei figli, solo una o due persone al massimo. Dobbiamo fare
molti sacrifici ma cerchiamo di tenere duro».
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