giovedì, 18 Aprile 2024

“Ida si era ritrovata a sorridere, inebetita, davanti alla promessa di non essere assunta in un’azienda, ma adottata da una famiglia.

Aveva continuato a sorridere anche quando lui le aveva spiegato quale sarebbe stata di preciso la sua figura professionale: community manager, ma anche content creator e social media manager. All’occorrenza, copywriter e ufficio stampa.

Nella sua mente, il vuoto. (…)”

Ida, 25 anni, neolaureata, appena scelta per uno stage in una grande agenzia di comunicazione. Ida, con il suo grande sogno di diventare sceneggiatrice ormai messo da parte, consapevole che “uno sceneggiatore, come copywriter, muore”. Eccola, nella descrizione dettagliata e, spesso, spietata, di Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio, le autrici di Non è questo che sognavo da bambina (Garzanti), una ragazza che si affaccia nel mondo del lavoro e tocca con mano una realtà che non è esattamente quella che aveva immaginato. Il suo ruolo è piuttosto confuso, è come se dovesse fare di tutto un po’ ma nessuno, davvero, si è preoccupato di affiancarla. E nessuno la invita a unirsi nella pausa pranzo, lei sembra invisibile ai colleghi. Nel privato soffre ancora per la rottura con Dario, condivide un appartamento a Milano da fuorisede e, in quei pochissimi momenti in cui ha qualche minuto per sé, rimpiange con nostalgia il suo sogno infranto.

“Lavorare fa schifo. Ne avevo già avuto il sentore quando servivo duecentosei caffè al giorno al bar del JamboShopping-Center, ma posso dire? Non ha niente a che vedere con il senso di nausea che provo quando guardo un foglio excel. E non me lo spiego, perché il valore percepito di ciò che faccio è altissimo. Perché se mi capita di dire a qualcuno (e mi capita molto spesso, visto che a Milano “di che ti occupi” è sempre trending topic) «faccio la content strategist copywri-ter social community manager, non so se hai presente», quel qualcuno non solo «ma certo che ho presente», ma anche «wow, fantastico, che bello». Quando in realtà non sa neanche che cosa ho detto. E come potrebbe, quando non lo so neanche io?”

Lo stile della Canfailla e della Di Virgilio è ironico e leggero ma, nonostante questo, il ritratto di Ida è molto autentico – in tantissimi potranno rispecchiarsi – e lascia una sensazione di amarezza. Ben presto tutto ciò che caratterizza il suo “lavoro” mostra i lati più scomodi: le umiliazioni, gli atteggiamenti che sfiorano il mobbing, l’arroganza, i comportamenti passivo-aggressivi e l’opportunismo dei colleghi. E Ida, purtroppo, ci mette del suo dimenticando di postare all’orario stabilito i contenuti di una campagna pubblicitaria o – qui si è superata – pubblicando un video personale nelle storie di Instagram di un cliente facoltoso. Tuttavia non riusciamo a biasimarla, anche per le sue defaillance scatta un senso di empatia. Lei mira a farsi assumere – anche se nella migliore delle ipotesi potrebbe aspirare a un altro contratto da stagista, magari per un periodo un po’ più lungo – e sopporta, sopporta lusingata da quell’ambizione che in fondo appartiene a ciascuno di noi. Basta aver intrigato un cliente con una bella presentazione ed essersi (forse) riconquistata la fiducia del capo… La sua amica Gio, con cui scambia frenetiche email, è la sua “spalla” su cui sfogarsi.

In questo romanzo c’è tutto il senso di una generazione vessata, costretta a scendere a compromessi e a rivalutare i propri desideri ma non manca un briciolo di speranza: leggerlo è liberatorio, riesce a far sentire un po’ meno soli e disorientati quanti si trovano o hanno vissuto la stessa esperienza di Ida.

Sara Canfailla e Jolanda Di Virgilio hanno studiato presso la Scuola Holden di Torino, dove si sono conosciute. Durante la settimana si occupano di social, comunicazione e editoria.

Rossella Montemurro

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