giovedì, 28 Marzo 2024

Carlo Persiani, romano classe 1954, archeologo della Sovrintendenza di Roma Capitale, autore di numerosissime pubblicazioni scientifiche e didattiche, arriva in libreria per Espera | Novels con il suo romanzo d’esordio Niente supplì nell’aldilà. Cronache di uno scavo (Edizioni Espera | collana Archeoracconti 9 – www.edizioniepsera.com).

Da giovane volontario dell’archeologia, conserva ricordi e sentimenti dei primi anni della sua passione, dai quali ha preso forma proprio Niente supplì nell’aldilà. Entrato nel tunnel dell’archeologia, non ne è più uscito: da appassionato a studente a dottore di ricerca; studioso di preistoria della Tuscia e dell’Anatolia, archeologo per vent’anni in cooperative archeologiche e per altri due decenni nel Comune di Roma. Ha sempre lavorato con la radio accesa, sostenuto dai tempi dei ritmi e dai ritmi dei tempi.

Enrico sobbalzava sul sedile del pullman di linea alle spalle dell’autista e accompagnava le curve col corpo mentre cercava di guardare fuori da tutti i finestrini contemporaneamente. Per la prima volta era solo, senza il punto di riferimento di compagni di viaggio familiari, per la prima volta era riuscito a scegliere da sé, con un raro atto di volontà, e ne era supercontento.

Al capolinea della corriera, Enrico si guardava attorno, non avendo avuto dalla segreteria dell’associazione altre indicazioni sulla loro destinazione oltre alla «villa antica di Sant’Evandro poco fuori dal paese»; niente via né numero civico.

Dopo quasi 10 anni dalla stesura della prima idea, l’Autore affida a Enrico, il protagonista, la memoria di anni giovanili, quando la vita doveva ancora svelare i suoi percorsi.

Enrico quasi per caso, sceglie di passare due settimane in un campo di volontariato archeologico per lasciarsi alle spalle una comitiva insoddisfacente, un ambiente familiare soffocante, e la propria mancanza di iniziativa. Neanche il tempo di arrivare e si trova a interpretare un ruolo principale su un palcoscenico dove a turno si fanno avanti l’amicizia, l’amore, il rimorso, la gelosia sotto la cappa di un dramma apparentemente dimenticato.

La scoperta delle tracce mortali di questa tragedia fa scattare una sequenza di investigazioni, di scoperte, di riconoscimenti che proiettano tutti gli attori verso la sarabanda finale. Lo scenario è una villa di campagna dall’aspetto più antico della sua vera età e la storia è ambientata in un angolo di Tuscia ricostruito con la fantasia, protagonista più che sfondo, con i segreti che contiene e che si svelano man mano per la sagacia dei personaggi.

La villa era stata scoperta da Rinaldo in uno dei suoi vagabondaggi solitari al volante della sua jeep. Emerso dalle ultime schiere di faggi con un’appassionante serie di curve, aveva scorto molto più in alto della strada un castello diroccato, dominante su un’altura occupata da un edificio di aspetto antico. Rinaldo individuò la propria posizione sulla tavoletta al 25.000 dell’I.G.M. non lontano da Sant’Evandro, un paese che non aveva mai visitato. Rinaldo puntò dritto in quella direzione. La costruzione non era molto lontana dal paesino. Per un sentimento di rispetto o di disagio inesplicabile, contro la sua abitudine a spingere la jeep su ogni tipo di terreno Rinaldo l’arrestò alla base di una cordonata che risalì a piedi fino a una grande cancellata invasa dalla vite americana.

La vicenda è scandita dai 15 giorni del turno di campo archeologico vissuto da Enrico, registrati sul suo diario e accompagnati dai consigli per l’ascolto, come in una delle prime radio libere.

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