venerdì, 29 Marzo 2024


Quindici anni e un sogno realizzato con una volontà di ferro, mettendo al bando scrupoli o ripensamenti, aggirando ostacoli, dimenticando la famiglia. Sara vuole diventare famosa e sa chi può aiutarla: Antonio, il deejay del momento che impazza in tv, in radio e fa serate in discoteca da tutto esaurito; con il suo aiuto personaggi senza nessun talento diventano star. Con il suo aiuto Sara diventerà una star.
Sara vive a Settima, un paese minuscolo vicino Piacenza, Antonio vive e lavora a Milano. Il primo ottobre 1983 Sara, con l’incoscienza dei suoi quindici anni, fugge a Milano – ha la terza media e non va più a scuola, non sa cantare, non sa far niente. Non è un problema: “E poi tu non sei una cantante, ha detto Antonio. Tu sei un animale, come me.
Era la seconda volta che lui mi chiamava animale, e io ho sentito che il mio vero nome era quello. Animale. Ho preso quella parola e l’ho nascosta dentro la mia pancia, l’ho messa al riparo”.
Mi chiamo Sara, vuol dire principessa (Marsilio) di Violetta Bellocchio è intrigante e ombroso come la giovanissima protagonista.
Bella, sfrontata, senza paura, Sara diventerà Roxana e concretizzerà la nuova idea di Antonio, “la rosa di vetro”, una principessa bianca che canta musica elettronica. Sara presta il suo corpo, le sue movenze, canta rigorosamente in playback perché la voce di Roxana è quella di un’altra ragazza – Sara non sa cantare e non ha alcuna intenzione di imparare, né Antonio glielo ha mai chiesto; in compenso impara subito a muoversi tra residence, discoteche, studi televisivi e massacranti tournée estive. Sara resiste a tutto questo guardando sempre più lontano, al Brasile, per esempio, dove lei e Antonio vogliono andare appena avranno messo da parte 50 milioni.
Quelle decine di banconote da centomila lire accumulate in casa – da dove vengono? Sono i contanti che Antonio guadagna in discoteca anche se alcune, quelle che Antonio dà a Sara, sono contrassegnate da una x scritta a penna – sono ancora troppo poche.
“Per Antonio, – si legge – quando ne parlavamo la sera tardi, il Brasile era una villa bianca con il giardino tutto intorno e un terrazzo dove bere il tè nei bicchieri di vetro. Ma certe sere il Brasile poteva essere un sottopassaggio blu che sprofondava tra palazzi alti mille piani, musica elettronica in sottofondo, acqua ghiacciata in una tazza di plastica piena fino all’orlo. Un disco dei Depeche Mode. E il Brasile poteva essere anche il silenzio, l’odore delle torce sul sentiero verso una piscina scoperta, la luce del sole di mezzogiorno che batteva diritta su una spiaggia bianca come il sale, vuota. Era quella la cosa che mi piaceva di più, nelle storie che raccontava Antonio: tutto era sempre molto lontano, come il cielo era lontano dalla terra. Pensavo al Brasile e vedevo me, una sottoveste rosa con il bordo di seta nera, sdraiata sull’erba in riva a un fiume, l’aria limpida; vedevo me che stavo nell’acqua del mare fino alle ginocchia, un bikini a fascia e le spalle nude, oppure stavo sotto una cascata che mi lavava la schiena, tenevo le labbra un po’ aperte, gli occhi chiusi. Io ero la regina di un paese deserto”.
Sara è per Antonio “animale”, “bimba”, “anima gemella”. E’ il suo segreto.
Quella dell’autrice di Mi chiamo Sara, vuol dire principessa è una scrittura ipnotica, conturbante, perché come ha affermato Tiziano Ferro “Violetta Bellocchio racconta le vite degli altri e ti aiuta a capire cosa vuoi fare con la tua”.
Infatti, quando Sara pian piano inizia a bastare a se stessa, si spezzeranno diversi equilibri.
Violetta Bellocchio ha pubblicato con Mondadori i romanzi Sono io che me ne vado (2009) e Il corpo non dimentica (2014). Ha fondato la rivista online “Abbiamo le prove”, un contenitore di storie non fiction scritte da donne italiane, da cui nasce l’antologia Quello che hai amato, in libreria per Utet da settembre 2015. Per la collana “I Corsivi” del Corriere della Sera ha pubblicato il reportage La ragazza alla finestra; ha pubblicato racconti per minimum fax (in L’età della febbre, 2015) e per Marcos y Marcos (in Ma il mondo non era di tutti?, a cura di Paolo Nori). Collabora a Internazionale, Futura (newsletter del Corriere della Sera), Rolling Stone, Pagina 99.
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