giovedì, 27 Marzo 2025

La Basilicata al Villaggio “Agricoltura è” presenta la sua fragola

Si conclude questa sera la tre giorni del Villaggio “Agricoltura è”, evento di rilevanza nazionale che si è tenuto a Roma dal 24 al 26 marzo, inaugurato dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e chiuso dal Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. L’evento...

Martedì 18 febbraio mons. Antonio Giuseppe Caiazzo, neoeletto Vescovo della Diocesi di Cesena-Sarsina ed amministratore della Diocesi di Matera-Irsina e di Tricarico (MT), ha presieduto una Santa Messa nella chiesa di Cristo Re, in occasione del 20° Anniversario della salita al cielo del Servo di Dio  don Luigi Giussani (22 febbraio 2005) e del 43° anno dal riconoscimento pontificio della Fraternità di Comunione e Liberazione (11 febbraio 1982).

Hanno concelebrato don Giovanni Grassani, responsabile regionale della Fraternità, e don Franco Laviola, assistente spirituale della Diocesi di Matera-Irsina.

Di seguito l’omelia, pronunciata davanti al popolo di Comunione e Liberazione della Diocesi:

Stiamo avendo la gioia, in questi giorni, di meditare soprattutto il libro della Genesi. Più lo si legge, più si riscontra la ricchezza della rivelazione di Dio agli uomini di ogni tempo e si vede come il suo dire, il suo parlare, attraverso la descrizione che l’autore della Genesi ci presenta, sia così vicino all’uomo di oggi, dei nostri tempi, e quindi a ognuno di noi. Questo per un motivo molto semplice: quando ci accostiamo alla Parola di Dio — e diciamo Parola di Dio, Parola del Signore, indipendentemente dal fatto che sia la prima pagina della Bibbia o l’ultima — è sempre ispirata, ed è ispirata da Dio.

Per cui, i contenuti che troviamo all’interno dei testi che ascoltiamo e meditiamo sono contenuti che danno delle dritte alla nostra vita. Ci fanno cogliere, soprattutto, come la presenza di Dio sia una presenza reale, reale in questo tempo, nel nostro tempo, dove la confusione regna in modo particolare e dove la cultura della morte prevale sulla cultura della vita, da tutti i punti di vista — lo sapete meglio di me. Dio si rende presente, quasi oserei dire senza scomporsi, come se aspettasse il tempo opportuno perché l’uomo sia capace di aprire il suo cuore alla Presenza divina. E accogliendo Dio nella sua carne, l’uomo possa ritornare a rivestirsi proprio della Divinità stessa.

È ciò di cui abbiamo bisogno ed è ciò che stiamo cercando quotidianamente in questo tempo: quella luce interiore che desideriamo. In questi giorni, sicuramente stiamo pregando in modo più intenso per il nostro Papa, Papa Francesco, date le sue condizioni; ma, nello stesso tempo, stiamo pregando per la pace, perché si possa arrivare a ottenerla. E, sempre nello stesso tempo, chi di noi non è preoccupato per come procedono le cose e per come i grandi della terra pensano di spartirsi ciò che esiste, a scapito del bene dell’umanità intera?

Ecco perché abbiamo bisogno di leggere ancora la Genesi. Nel brano che segue domani, dopo il “salvataggio” compiuto nell’Arca, sta scritto che, dopo sette giorni, Noè mandò via un corvo per vedere se le acque si fossero prosciugate. Il corvo tornò indietro senza portare nulla. Noè aspettò allora altri sette giorni, e mandò una colomba — diventata poi simbolo di pace. La prima volta, la colomba ritornò senza niente; Noè aspettò altri sette giorni e la colomba portò un ramoscello d’ulivo. Ecco perché è diventato il simbolo della pace.

Nel libro della Genesi, questo numero sette ritorna di continuo: è al settimo giorno che Dio finì la Creazione e si riposò. E il settimo giorno rappresenta non solo il giorno del Signore, è il giorno del Signore perché è il giorno in cui l’uomo incontra Dio e ritrova quella pace di cui ha bisogno. Una pace che nasce dal contatto personale con Lui e una pace che si costruisce dal contatto con i fratelli che il Signore ci ha messo accanto. Perché insieme c’è bisogno di ricreare quelle relazioni umane che, a volte, la carne lacera completamente: quelle relazioni che hanno bisogno di farci gustare anche la gioia dello stare insieme, del camminare insieme.

Ecco perché, nel Salmo responsoriale, abbiamo ripetuto esattamente questa frase: “Il Signore benedirà il suo popolo con la pace”. Se notate, si parla sempre al futuro. Anche i profeti, quando parlano, parlano al futuro, per mettere in evidenza che Dio mantiene sempre fede alle sue promesse. Proprio perché Dio è fedele, ci mostra che non abbandona il suo popolo, non abbandona i suoi figli.

Anche quando sta scritto che Dio, di fronte al male, mandò il diluvio per purificare la terra, subito dopo è scritto che “Dio si pentì di quello che aveva fatto”. È un linguaggio tipicamente umano, per dire che senza il pentimento non ci può essere pace, e quel pentimento esprime la pacificazione che Dio ha con l’umanità, e che l’umanità deve avere con Dio. Quando c’è questo incontro tra Dio e l’uomo, c’è la pace; altrimenti possiamo firmare tutti i trattati di pace che vogliamo, ma se non c’è giustizia, quel trattato di pace è peggiore della guerra.

Ecco allora, mi collego a quello che è il tema su cui, quest’anno, stiamo riflettendo nel ricordare il nostro carissimo don Luigi Giussani: ricordarci che noi siamo chiamati innanzitutto a essere in pace con Dio e a essere in pace con i fratelli. Non possiamo mai seminare pace e gustarne la verità senza averla portata nella nostra vita, nella nostra famiglia, nei nostri rapporti.

Se notate, nel brano del Vangelo di Marco, i discepoli, pur stando vicino a Gesù, non sono in pace. Non lo sono perché, pur essendoci Gesù presente, non hanno ancora saputo assaporare la presenza di Dio accanto a loro. Non sono in pace: anzi, discutono tra loro e si preoccupano di qualcosa di cui non dovrebbero preoccuparsi, dal momento che, solo qualche giorno (o settimana) prima, il Signore aveva compiuto segni in cui il pane non era mancato. Egli aveva mostrato come, concretamente, il pane non sia moltiplicato ma condiviso: il Signore spezza il pane. Non so se ci avete fatto caso: di solito noi parliamo di moltiplicazione dei pani e dei pesci, ma nella realtà del testo non c’è scritto che Gesù moltiplica. Gesù prende il pane, lo spezza e lo dona ai discepoli perché lo distribuiscano. È la condivisione: il pane si spezza, il pane si condivide, e il pane non deve mancare a nessuno. E il Signore, di certo, non ci fa mancare ciò di cui abbiamo bisogno.

Nella Sacra Scrittura, sempre nel libro della Genesi, c’è scritto che Dio provvede: Dio provvede sempre. Se questo vale per il pane materiale, è chiaro che Gesù vuole ricondurre i discepoli a capire (ecco l’interrogativo finale: “Non comprendete ancora, nonostante quello che ho fatto?”) che preoccuparsi di avere un solo pane nel cestino non è un problema. Gesù sta indicando che l’uomo, se non mangia un altro tipo di pane, se non mangia il Pane della Vita e non si nutre di questa Parola — sempre attuale per noi — può mangiare tutto il pane di questo mondo, ma non sarà mai in pace, non sarà mai soddisfatto.

Pensiamo a un momento molto triste della guerra in Ucraina, quando veniva impedito alle navi di portare il grano ai Paesi che ne avevano più bisogno: era usato come arma, per ottenere la vittoria. Questo è l’uomo senza Dio, ma che si veste di Dio, illudendosi di averne la forza.

Perciò Gesù dice: “Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode”. I farisei non sono soltanto quella casta che immaginiamo. Sono tutti coloro che possiamo essere anche noi, a cominciare da me, nel momento in cui, pur indossando abiti liturgici e presentandoci davanti all’altare, non abbiamo quella gioia che viene dal Signore, quella gioia di stare con i fratelli e di gustare quanto è buono il Signore. E poi c’è il lievito di Erode. Chi è Erode? È colui che ha il potere, che decide sulla sorte e sulla vita degli altri; è colui che, pur desiderando ascoltare la voce di Dio, alla fine fa i suoi interessi e non esita a far tagliare la testa a chi gli dà fastidio. È per dire quanto la Parola di Dio sia attuale, ancora oggi.

La pace, fratelli, noi la costruiamo esattamente se abbiamo il coraggio — come si dice, forse un po’ meno ultimamente — di “metterci la faccia”. La pace si costruisce se togliamo le mani dalle tasche e ce le sporchiamo per il bene di tutti. Questo è ciò che avete imparato in tanti anni e che avete ricevuto dall’insegnamento di Don Giussani: un uomo che, innamorato dell’Amore che è il Signore, non si è lasciato né fermare né intimidire, né tantomeno ha fatto marcia indietro. È andato avanti, sapendo — e nonostante in alcuni momenti ci siano state tensioni particolari — che nell’obbedienza a Dio e alla Chiesa non si può sbagliare, perché ti lascia la pace. E quando sei in pace con te stesso e in pace con Dio, diventi costruttore di pace, araldo di pace: come sono belli i passi di coloro che camminano sulle cime dei monti e sono annunciatori di pace, portatori di pace.

Capite perché, per esempio, in un certo periodo si parlava tanto dei “pacifisti”? Il pacifismo non mi è mai piaciuto. Come può un prete, un vescovo, non essere pacifista? Io dico: “Non sono pacifista, sono operatore di pace”. È tutta un’altra cosa. Certo, i pacifisti possono fare cose meravigliose — a volte le manifestazioni sono rovinate da infiltrati violenti — ma chi è credente, chi è cristiano, nel nome del Signore può essere molto di più di un generico pacifista. Io sono un operatore di pace. E questo è il senso e il significato, soprattutto, dell’Eucaristia che celebriamo quando ci ritroviamo la domenica o nei giorni feriali. “Vi lascio la pace, vi do la mia pace.” Che cosa dona il Signore? La Sua pace.

E un’altra cosa: quando, tra poco, il diacono dirà “Scambiatevi il segno di pace”, qual è la pace che ci scambiamo? Diciamo semplicemente “Pace”, “Ciao, come stai”? Oppure comprendiamo che la pace che io ho dentro, e che Dio mi ha dato, la do anche a te — la stessa pace! Così come, quando sentiamo il Comandamento dell’amore, “Amatevi gli uni gli altri”, in realtà non è una frase qualsiasi; c’è subito una virgola e poi “come io ho amato voi”. E qui cambia tutto. “Come io ho amato voi”: vi ho lavato i piedi, mi sono piegato davanti a voi, sono morto in croce, ho dato la vita per voi. L’operatore di pace è colui che sa dare la vita per il bene degli altri e lascia insegnamenti che, nel tempo, rimangono scritti non sui libri, ma nel cuore, perché incisi in profondità. E tu avverti il desiderio di continuare quella missione che ti è stata affidata.

Ecco, allora, che noi stasera ringraziamo il Signore perché continua a manifestarci il suo infinito amore, a donarci la pace. E lo ringraziamo perché ci ha dato un uomo suo — diciamo un uomo di Dio — così profondo, così innamorato di Lui e della Chiesa, qual è stato don Luigi. Sul suo esempio possiamo essere operatori di pace.

Così sia.

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