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Si è conclusa ieri nella chiesa del Carmine a Matera la mostra “Perimetro del sensibile”. Ideata e curata da Giacomo Zaza, ha proposto una selezione ragionata di opere di Giuseppe Spagnulo (Grottaglie, 1936 – 2016) e di Raffaele Quida (Lecce, 1968). Il progetto espositivo è nata dal desiderio di perlustrare prospettive visive che elaborano nuovi spazi e forme del sensibile. Tale perlustrazione avviene attraverso due esperienze artistiche contemporanee negli spazi seicenteschi della Chiesa della Madonna del Carmine (1608-1610) di Matera – inglobata nel Palazzo Lanfranchi (ex Seminario realizzato nel 1684).
Le due pratiche artistiche, individuate da Zaza, degli artisti Spagnulo e Quida, benché distanti per differenze generazionali, appaiono incredibilmente affini per l’attitudine alla riformulazione dello spazio materiale e simbolico. Come sottolinea Giacomo Zaza: “L’itinerario delle opere nella chiesa di Matera, d’accordo con il pensiero del filosofo Jacques Ranciére, produce un’incertezza sulle forme ordinarie dell’esperienza sensibile, escogitando perimetri di percezioni e suggestioni che, partendo dal valore archetipico delle presenze geometriche di Spagnulo e dalla materia ricettiva e impressionabile di Quida, approdano a un nuovo ordine di visibilità e di spazialità, tanto materica/sinestetica quanto simbolica, misteriosa e poetica”.
Ed ancora, sempre con le parole di Zaza: “Lasciando collassare generi e gerarchie, le pratiche dei due artisti invitano il nostro sguardo a incontrare e interagire con molteplici perimetri della visione. Una visione austera, sospesa e magmatica, in Giuseppe Spagnulo, oppure mutevole, silenziosa e permeabile, in Raffaele Quida”.
In contrasto con le ricche decorazioni marmoree seicentesche (in particolare gli altari marmorei) e i motivi policromi delle cornici, le forme elementari create da Spagnulo si sono presentano come ombrose, telluriche, imperfette, dense d’interstizi e sempre votate alla sensibilità. La loro superficie ruvida e irregolare, stridendo rispetto ai vistosi elementi decorativi, ha riportato continuamente l’attenzione a uno spazio in cui prevalgono i rapporti tra pieno e vuoto, negativo e positivo, presenza e assenza. L’ossido di ferro, la sabbia vulcanica e il carbone hanno animato e plasmato questo spazio di valenza geometrica che vuol essere vivente, intenso e, per certi versi, interiore.
Su un versante dialogico, i perimetri di Quida hanno racchiuso processi sensibili non conclusi, dove si sedimentano tracce e gesti, a volte mai direttamente palesati. Ad esempio, nell’opera intitolata Antropologia sociale, s’intravedono delle impronte sulla carta fotosensibile, le stesse riproposte su una lastra di marmo accanto alla carta, mediante segni scavati e riempiti con la polvere di estrazione. In questo caso Quida ha accostato due superfici, intese come due dimensioni: una stabile, dove permane la traccia del passaggio dell’uomo, l’altra in continuo divenire, in perenne relazione con la vita dello spazio che la ospita – simile alla relazione dell’opera Luce da Nord con il contesto nel quale viene collocata.
Dunque, combinando opere di Spagnulo dei primi anni Novanta e opere di Quida degli anni Duemila, la mostra ha affrontato una spirale di temi che si alternano senza mai definirsi completamente: immobilità e trasformazione, struttura razionale e impeto magmatico, superficie e profondità, casualità e geometria, bordo e sconfinamento, sensibile e soprasensibile.
In collaborazione con il Museo Nazionale di Matera, e sotto il patrocinio della Provincia di Matera e del Comune di Matera, la mostra nella Chiesa del Carmine in Palazzo Lanfranchi, a Matera si è avvalsa della collaborazione della Cosessantuno Artecontemporanea, della Fondazione per l’Arte e le Neuroscienze F. Sticchi, e delle collezioni Fraccalvieri e Sirressi di Santeramo per il prestito delle opere di Giuseppe Spagnulo.