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“L’unica storia”, uno dei più bei libri di Julian Barnes

“Abbiamo quasi tutti un’unica storia da raccontare. Non voglio dire che nella vita ci capiti una cosa sola; al contrario, gli avvenimenti sono tantissimi, e noi li trasformiamo in altrettante storie. Ma ce n’è una sola che conta, una sola da raccontare, alla fine. E questa è la mia”.
È delicato e coinvolgente, struggente e bellissimo L’unica storia (Einaudi, traduzione di Susanna Basso) di Jules Barnes, la storia di un amore proibito tra il diciannovenne Paul e la quarantottenne Susan negli anni Sessanta. Paul è tutto fuorché un toy boy, come sarebbe definito oggi. È troppo ragazzino, scanzonato, ancora guardato a vista dalla madre. È in quell’età dove la trasgressione diventa il filo conduttore di giornate nelle quali, per sfuggire alla noia, si è disposti a tutto. Ed è proprio per far trascorrere in fretta un’estate altrimenti piatta che Paul si iscrive al circolo del tennis, accettando un consiglio della mamma. Galeotto, però, è un sorteggio che lo affianca, nel doppio a Susan Macleod. Alta, sicura di sé, affascinante Ma coetanea della madre, sposata e con due figlie.
Non sono bastati cinquant’anni a Paul per dimenticarla, per lasciarsi alle spalle una relazione scandalosa che lo traghetta nella vita adulta e lo cambia per sempre. «Ed è cosí che vorrei ricordare ogni cosa, se solo potessi», lamenta il narratore, rievocando dalla prospettiva della vecchiaia gli esordi di quella sua travolgente storia d’amore: l’euforia dell’anticonformismo, l’ebbrezza del sesso, la fuga, il nuovo inizio.
Tre atti per ricordare e raccontare da tre diverse prospettive, con tre differenti stati d’animo: dalla prima persona di Paul adolescente si passa al tu ideale di uno sguardo esterno per arrivare a una fredda terza persona nell’ultima parte del libro. Attorno ai due amanti ci sono altre uniche storie: il grottesco marito di Susan, Mr E.G., per il quale Paul non è che uno dei «giovani cicisbei» di cui la consorte si attornia, le due figlie variamente ostili, il generoso amico Eric, la saggia e disillusa Joan, con il suo gin, i suoi cani e i suoi cruciverba truccati. E soprattutto la storia del rivale subdolo e invincibile con cui il giovane Paul si trova a fare i conti, fallendo. «Che cosa preferireste, amare di piú e soffrire di piú; o amare di meno e soffrire di meno?», si era chiesto il narratore in apertura del romanzo. È una domanda che i personaggi di Julian Barnes, dal Geoffrey Braithwaite del Pappagallo di Flaubert al Tony Webster del Senso di una fine, a cui L’unica storia è strettamente collegato, si sono posti spesso. Per Paul, piú di cinquant’anni dopo quel primo fatidico torneo di doppio misto, la risposta sta forse nell’appunto scritto su un taccuino in gioventú e mai piú depennato: «In amore, ogni cosa è al tempo stesso vera e falsa; l’unico argomento al mondo sul quale è impossibile dire insensatezze».
«Sorprende a ogni pagina. Uno scrittore all’apice della sua bravura; un romanzo che affonda come un amo nella carne del lettore e lí rimane», secondo il Times.

Julian Barnes è nato a Leicester. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti fra i quali il Somerset Maugham Award, il Prix Médicis, lo Shakespeare Prize, l’Ordre des Arts et des Lettres, il David Cohen Prize for Literature e il Premio Malaparte. Con Il senso di una fine ha vinto il Man Booker Prize 2011. Fra le sue opere, tutte in corso di pubblicazione per Einaudi, sono a catalogo: Una storia del mondo in 10 capitoli e 1/2, Oltremanica, Amore, ecc., England, England, Amore, dieci anni dopo, Arthur e George, Il senso di una fine, Evermore, Livelli di vita, Il pappagallo di Flaubert, Metroland, Il rumore del tempo, Il porcospino, Prima di me e L’unica storia.
Rossella Montemurro

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