venerdì, 29 Marzo 2024

Werner Wolf è così pieno di problemi da ignorare la leucemia che gli è appena stata diagnosticata. Vivere portandosi dietro una macchia atroce – essere il nipote di Hitler – è già di per sé terribile: sua madre Klara è infatti il frutto segreto della relazione tra Eva Braun e Adolf Hitler. Inizia così La regola del bonsai (Mondadori), il nuovo romanzo di Carlo D’Amicis, uno dei più bravi scrittori contemporanei che con i suoi libri – sempre avulsi dalle mode del momento, lui può permetterselo grazie a una penna splendida – regala spaccati di rara intensità stilistica.

Klara è stata una donna tormentata, anche lei costretta a convivere con una “colpa” che per alcuni, i nostalgici del fuhrer, è invece un invidiabile feticcio. Rudolf, l’uomo che ha scoperto le sue origini e che è poi diventato suo marito, ha pensato bene di cavalcare l’onda e rendere Klara l’icona di un passato che rimanda, purtroppo, ancora suggestioni sinistre: così, di sera in sera, la donna, una cantante d’opera che non è mai riuscita a sfondare, si esibisce per fanatici del Terzo Reich concludendo gli spettacoli vendendo il suo sangue. Durante il giorno, invece, Klara soffoca, o almeno tenta di farlo, nell’alcol i suoi tormenti. È quasi scontato che in un clima familiare decisamente tossico, manchi al piccolo il sostegno di un ambiente equilibrato, manchino l’affettività, la spensieratezza, il gioco.

Forse è per questo che alla soglia dei sessant’anni Werner sembra un disadattato. Vive – senza passato e soprattutto senza futuro – in una baracca ai margini di Berlino. Trascorre le giornate in solitudine, cammina nei boschi, raccoglie oggetti dalla spazzatura e si barcamena tra l’ostilità del padre Rudolf, anziano e paranoico vivaista appassionato di bonsai, e gli assalti di Danny Grunberg, logorroico agente di spettacolo deciso a trasformarlo in un fenomeno da baraccone, convinto che la memoria sia il vero business del nostro tempo. Grunberg vuole convincerlo a partecipare a un reality insieme agli eredi dei più grandi dittatori della storia. Incurante dei suoi rifiuti, lo segue fino al Sud Italia che Werner ha raggiunto alla ricerca delle proprie radici. È qui che incontra Anna – una ragazzina petulante, piena di vita che prova a scuoterlo dal torpore in cui è caduto – e tanti strani personaggi in bilico tra una dimensione reale e una soprannaturale: sarà su questi due piani che la storia di Werner acquisirà una nuova coscienza, diramandosi su altre strade.

D’Amicis non è nuovo a colpi di scena, attuati sempre con maestria, così come è abile nel narrare sul filo dell’ironia, anche quando non te l’aspetti. Un solo aggettivo per definire La regola del bonsai: bellissimo.

L’INTERVISTA

Come è nato La regola del bonsai?

“E’ sempre molto difficile ricostruire la genesi di un romanzo. Ci sono motivazioni diverse che convergono e non sempre si allineano secondo un’effettiva importanza, a volte il senso di una storia emerge in corso d’opera. Sicuramente uno delle spinte più forti è consistita nel voler mettere in discussione, in me che scrivevo ancora prima che nel potenziale lettore, il concetto di memoria come valore in sé, portatore di un miglioramento della condizione umana senza se e senza ma. In realtà, suggerisce questa storia, trattare la memoria come un feticcio da idolatrare può essere molto pericoloso. Quello con il nostro vissuto, personale o collettivo che sia, è un processo articolato che, così come accade in un percorso psicoanalitico, dovrebbe prevedere più tappe: una comprensione del passato, una sua rielaborazione e infine uno scioglimento dei nodi, che ci proietti verso una pacificazione, se non con gli altri, almeno con se stessi, per liberare gli orizzonti e per prepararci a un futuro privo di rancori.”   

Forse è solo suggestione per un romanzo che ho amato molto, Escluso il cane, ma fatti i dovuti distinguo, Werner Wolf fin dalle prime battute mi ha ricordato tanto l’avvocato protagonista di questo tuo libro di alcuni anni fa. Concordi?

“Sono sempre stato affascinato dall’uomo che non c’è, per citare i miei amati Cohen: personaggi appartati, un po’ misantropi, che considerano la propria emotività un nemico dal quale difendersi. Strappati dalla loro comfort zone, illuminati dai fari della vita come animali selvatici nella notte, devono quindi misurarsi con se stessi, ancora prima che con le situazioni esterne. Con questo tipo di personaggio, qualunque tipo di esperienza diventa inevitabilmente una ridicola tragedia, ossimoro che in effetti ricorre nelle atmosfere dei romanzi che ho scritto e che, come notavi, accomuna specialmente Escluso il cane a La regola del bonsai.”       

Come si riesce a coniugare una delle pagine più tragiche della Storia con alcuni aneddoti tutto sommato leggeri e uno stile che ha venature umoristiche?

“Con lo stesso metodo con cui spero di aver sempre trattato i miei personaggi, anche quelli in teoria meno empatici con il lettore, cioè umanizzandoli. Umanizzare per me non significa trascurare le connotazioni sociali e culturali che contribuiscono a formare l’identità di un individuo, e tantomeno il suo profilo morale, ma significa fare un tentativo di spingersi oltre queste connotazioni, verso quel nocciolo che riconduce tutte le differenze, perfino quella tra una vittima e il suo carnefice, a ciò che nel bene e nel male possiamo definire la natura umana. All’interno di questa nostra natura il sublime convive con la miseria, e il tragico può convivere con il comico.”         

Perché la scelta, dopo una prima parte realistica, di una virata con incursioni nel soprannaturale?

“La dimensione soprannaturale mi affascina, non tanto come fantasticheria nella quale si perde il contatto con il reale ma come messa in crisi della razionalità. Lo stesso Werner non entra mai del tutto in un’altra dimensione, l’incontro con i suoi fantasmi avviene a cavallo tra il logico e l’illogico. Nei mesi in cui scrivevo il romanzo, poi, sono rimasto molto colpito, pur senza possedere gli strumenti per capirle fino in fondo, dalle teorie intorno alla fisica quantistica e dalla possibilità di ripensare il tempo svincolando dalla nostra percezione oggettiva e assoluta, e questo ha finito con influenzare l’intersezione di passato e presente che a un certo punto caratterizza la storia.” 

Hai la capacità di essere molto introspettivo: basta un dettaglio dei tuoi personaggi a renderli di volta in volta vulnerabili, forti, fragili… Sono descrizioni frutto della tua fantasia o “attingi” dalla realtà, dalla vita quotidiana?

“La realtà e la fantasia sono estremamente connesse. A volte nella vita quotidiana si avverte una vibrazione che ti fa capire di essere nei pressi di una situazione potenzialmente letteraria: la realtà ti fornisce lo spunto e l’immaginazione ti aiuta a svilupparlo. L’altra sera, per farti un esempio, dovevo partecipare a una cena con dei miei vecchi compagni di classe che non vedevo da quarant’anni (situazione già di per sé stimolante). Mia moglie era fuori per lavoro, per arrivare in tempo alla cena sono dovuto tornare di corsa a casa dal lavoro e con grande affanno ho lasciato nostra figlia alla baby-sitter, chiamata con molte difficoltà per l’occasione. Quando, sempre di corsa e comprensibilmente teso, sono uscito di nuovo da casa per andare al ristorante ho mandato un messaggio ai miei vecchi compagni avvisandoli del leggero ritardo e solo in quel momento ho realizzato di aver sbagliato giorno: la cena era la sera dopo! Sono rimasto inebetito sul marciapiede, ho pensato di risalire a casa ma mi sono vergognato di confessare l’errore a mia figlia e alla baby-sitter. Su quel marciapiede, vestito di tutto punto e con una serata completamente vuota davanti, ho sentito di essere nell’incipit di un potenziale racconto che avrebbe potuto svilupparsi in mille direzioni (nella realtà ho mangiato un pezzo di pizza al taglio e sono andato al cinema da solo!).”

Anche tu, come Rudolf, sei appassionato di bonsai?

“No, non direi che sono un appassionato! I bonsai sono bellissimi e mi affascinano, ma nello stesso questo dominio dell’uomo sulla natura m’inquieta moltissimo. Non a caso, nel libro, ho scelto il bonsai come simbolo della capacità manipolatoria di certe persone – capacità che per altro può esprimersi in mille modi, la maggior parte dei quali molto meno belli esteticamente di un bonsai!”

A quale pubblico di lettori rivolgi La regola del bonsai?

“Al lettore che, attraverso il piacere del racconto, cerca nei romanzi degli strumenti per aprire la mente, per stupirsi, per mettersi in discussione.”   

Carlo D’Amicis (Taranto, 1964) vive a Roma. È autore dei programmi di Rai 3 “Quante Storie” e “Le parole per dirlo” e del programma di Radio 3 Rai “Fahrenheit”. I suoi ultimi romanzi sono: Escluso il cane (2006), La guerra dei cafoni (2008), La battuta perfetta (2010), Quando eravamo prede (2014), tutti pubblicati da minimum fax. Nel 2017 da La guerra dei cafoni è stato tratto l’omonimo film diretto da Davide Barletti e Lorenzo Conte. Nel 2018 è uscito per Mondadori Il gioco, finalista al premio Strega.

Rossella Montemurro

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