venerdì, 19 Aprile 2024


Niente tappeti, tende, fotografie, piante ornamentali. Niente fronzoli e niente libri. Niente luci oltre quelle già presenti, niente animali domestici. Niente fili per stendere il bucato o cestini per la carta straccia. Vietato fumare. Banditi i sottobicchieri e le tovagliette all’americana, i cuscini, i gingilli di qualsiasi tipo e i mobili da montare. Di contro, l’appartamento è un gioiello della domotica, con un’app nel telefonino che controlla tutto – in più, sensori di movimento a ultrasuoni, accoppiati a un rivelatore che modifica l’intensità della luce a seconda del grado di oscurità che c’è fuori. Non solo: la casa è intelligente: sa chi sei e conosce le tue abitudini, ma se dovesse entrare qualcun altro, ti chiederà se è stato autorizzato.
Per prenderla in fitto bisogna rispondere a un questionario lunghissimo e sottoscrivere un contratto con 200 clausole. Ma, per accettare o meno l’affittuario, l’ultima parola spetta a Edward Monkford, l’architetto maniaco del controllo che ha progettato e realizzato l’appartamento in Folgate Street, civico 1, Londra.
Tantissimi non ci sono riusciti, i pochi che hanno “passato l’esame” risultando degni di abitare in Folgate Street hanno desistito dopo alcuni giorni – troppe regole, troppe stranezze -, per Emma, invece, quella casa era l’ideale in termini di sicurezza, per riprendersi dopo una brutale aggressione. Ma Emma, in quella casa, poi è morta – suicidio o omicidio?
Tre anni dopo è Jane la nuova inquilina: anche lei, con un trauma recente da superare, vede nella casa una valida alleata per rimettersi in carreggiata. Anche Jane – che ha la stessa età di Emma e le somiglia terribilmente – rimane affascinata da Edward e dalla sua idea di “stare insieme”: la relazione va avanti solo finché è perfetta, proprio come è accaduto con Emma.
Edward esercita sulle sue donne-affittuarie un controllo continuo. Tramite Governante, un software che vigila sull’uso ottimale della casa, sottopone test con implicazioni psicologiche e dilemmi morali – guai a non rispondere, pena la mancanza di acqua calda o la disattivazione delle luci. Insomma, vivere in Folgate Street non è una passeggiata e, se scoprire qualche ombra nella vita compassata di Edward – un uomo dai capelli di un biondo indefinito e dall’aspetto poco appariscente, con gli occhi di un azzurro chiaro e luminoso, architetto eccezionale perché non cede a nessuna tentazione anche se sotto le lenzuola ha un debole per le pratiche estreme – è per Jane intrigante, il dubbio che Emma non si sia suicidata diventa un tarlo che la spinge a scavare nel passato nella ragazza. Quello che verrà fuori è inimmaginabile.
Per scrivere La ragazza di prima (Mondadori, con la traduzione impeccabile di Mariagiulia Castagnone), J.P. Delaney, psuedonimo di uno scrittore che ha all’attivo altri bestseller, ha impiegato dieci anni.
Narrato a due voci, quelle di Emma e Jane, La ragazza di prima ha una trama che a poco a poco si infittisce e si complica e l’intera vicenda diventa, per il lettore, un rebus. Acquistato dalla Universal diventerà presto un film diretto da Ron Howard. Al momento basti sapere – se ancora si è indecisi se leggerlo o meno – che il libro ha immediatamente raggiunto i primi posti delle classifiche inglesi e americane, distinguendosi come la novità assoluta della stagione.
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