mercoledì, 24 Aprile 2024

Il presidente Bardi: “Ha vinto la politica delle cose concrete”

“È stata premiata la politica delle cose concrete. I cittadini sono stanchi di ascoltare parole, vogliono vedere i fatti, e quando li vedono premiano. La condivisione di programmi con il campo allargato può dare nuovi risultati, realizzando le iniziative e i processi...

“Da qualche parte c’è qualcuno, non sai chi, che prova quello che provi tu. Siamo tutti connessi in qualche modo. È pieno di persone simili a noi, solo che non le conosciamo. La tua sorella su questo mondo esiste. Non è detto che la troverai ma c’è”.

Emozionare con le parole, con la Storia, con la musica.

Far commuovere con un libro ambientato nella Berlino di un secolo fa, permettere con maestria una full immersion nella storia di due donne incredibili che hanno provato a combattere contro le ingiustizie, tentando di sovvertire situazioni disumane. A dar voce a Elsa e Adele è la scrittrice Silvia Montemurro: lei, che come poche padroneggia uno stile che arriva sempre dritto al cuore, con il romanzo L’orchestra rubata di Hitler (Salani) regala un’altra prova stupenda, l’ennesima conferma di un talento più unico che raro in Italia. Poco più che trentenne, la Montemurro è lontana dagli stereotipi della maggior parte delle autrici coetanee. Lei non ha mai avuto problemi a misurarsi con trame complesse, piene di sentimenti – sia positivi sia negativi – e di persone, donne in particolare, indimenticabili.

Profonda conoscitrice delle sfumature della psiche, sempre molto brava a descriverle con i giusti toni, in grado di “fotografare” gli ambienti e le atmosfere del passato e a riportarli su carta con una precisione, refrattaria ai colpi di scena che nella realtà non troverebbero mai spazio: Silvia Montemurro la passione che ha per la scrittura riesce a trasmetterla al lettore che, inevitabilmente, si lascia rapire leggendo i suoi romanzi.

Elsa, nella Berlino degli anni Trenta risente di un’educazione in cui le è stato consigliato di tenere a bada le emozioni, soffocare qualsiasi slancio: “Non sono mai riuscita a vivere con la giusta intensità.

Mia madre mi raccomandava sempre di mantenermi in equilibrio. Diceva che nella vita vince chi riesce a trattenere le emozioni. Prendevo molto sul serio questo avvertimento.

Fin da piccola, se avevo un problema e qualcuno mi chiedeva come stessi, rispondevo «alla grande»”.

Ma a lungo, atteggiamenti simili, lo sappiamo, non fanno bene.

Elsa, brava bambina prima moglie tedesca ineccepibile poi, a un tratto reagisce. Non si rispecchia più nelle amiche asservite al Reich che si accompagnano a uomini invincibili. Quando il marito, ufficiale delle SS, riceve un importante incarico segreto e per la prima volta si rifiuta di parlarne con lei, ha uno scatto d’orgoglio e decidere di mettere via i panni della compagna giudiziosa e sottomessa. Forse è una sfida, forse è voglia di riscatto per gli anni passati a interpretare un ruolo che non sentiva il suo: una sera lo segue e vede che ha rubato da un appartamento la custodia di un violino, un Guarneri del Gesù, uno dei pochi esistenti, dal valore inestimabile. Elsa entra in quella casa, di nascosto e, guardando la foto della proprietaria del violino, Adele, respira sofferenza e complicità insieme. In un istante comprende che il dolore di quella ragazza è il suo e lei la deve cercare, a costo della propria vita, rischiando che il marito possa scoprirla e, soprattutto, tenendo testa a un uomo, Hitler, noto per la sua crudeltà.

Le voci di Elsa e Adele si intrecciano, in un crescendo in cui non è importante solo sopravvivere ma anche aiutare gli altri. L’orchestra rubata di Hitler ricostruisce ance la Sonderstab Musik, una squadra segreta delle SS che per conto di Hitler trafugava i più preziosi strumenti e spartiti musicali.
E proprio la musica è il trait d’union tra le due donne.

Silvia, come è nato il romanzo L’orchestra rubata di Hitler?

“A luglio mi laureerò in Filologia e tra gli esami che ho dovuto sostenere c’era quello di Storia contemporanea per il quale ho scritto una tesina sulla storia di Hitler. Mi sono imbattuta per caso, mentre facevo delle ricerche, sulla Sonderstab Musik rendendomi conto che nessuno ne aveva mai parlato. Ho fatto altre ricerche, interessandomi a questi strumenti rubati realmente esistiti. Poi ho scoperto che ci sono ancora cause per alcuni violini rubati –  per questo ho scelto un Guarneri del Gesù – che adesso appartengono alla Germania ma che dovrebbero andare ai loro legittimi eredi in America.”

Per delineare le figure di Elsa e Adele a quali donne ti sei ispirata?

“Sicuramente in ogni personaggio c’è un po’ di me stessa. Adele, da piccola, ha qualche caratteristica dei racconti dell’infanzia di mia nonna, il paesaggio marchigiano è stata un po’ la mia seconda casa: nell’infanzia di Adele ci sono la Marche che mi hanno accompagnata nelle mia estati. Si vede che mi mancavano proprio tanto in quest’anno di clausura per tutti! Le mie donne arrivano sempre guardando immagini d’epoca, poi prendono vita scrivendo.”

Quanto c’è di te in loro?

“Di Elsa ho questo carattere curioso, del voler scoprire le cose, questa ribellione, questo senso di non appartenenza, di disobbedienza e l’amore per la musica. Il sentimento di Adele che può tradursi in “quando suono esisto” io lo tramuto in “quando scrivo esisto”. La scrittura mi aiuta nei momenti più difficili.  Come Adele, infine, ero una bambina abbastanza solitaria che amava gli animali e che veniva anche un po’ bullizzata.”

Scrivere storie emotivamente forti ti appartiene. Come fai ogni volta a “toccare con mano”, a elaborare vicende così coinvolgenti?

“Io la chiamo un po’ la magia della scrittura, non saprei bene come si fa. Dico sempre che litigo con i miei personaggi, che li vivo, che li sento, che ogni volta c’è una tecnica diversa che non viene elaborata tanto con la testa quanto con il cuore. Per esempio, in certi miei romanzi passati c’è stato il mio intervistare continuamente persone che avevano avuto lo stesso vissuto. Per L’orchestra rubata di Hitler ho visto molti film, ho letto libri su quel periodo storico… L’ho sentito, l’ho sognato, ci sono entrata dentro. Per il prossimo sto usando un altro metodo ancora. Non ho un metodo standard, in ogni caso i personaggi mi entrano dentro e questa è la meraviglia della scrittura.”

Anche tu, come le protagoniste, suoni il violino. E in un tuo romanzo di qualche anno fa, Cercami nel vento, il violino è stato di nuovo uno dei comprimari. Cosa rappresenta per te la musica?

“Per me la musica è una forma di svago, di gioia e di consolazione. Ho suonato il violino in vari matrimoni o in piccoli concerti per le orchestrine, ho ballato tanghi e balli caraibici, ho seguito corsi di danza: sono innamorata della musica e del canto, come si vede dal libro. Credo che la musica sia una maniera sublime per esprimersi e tante volte supera anche la parola scritta nel senso che arriva nell’immediato. La mia è una famiglia di musicisti e penso che questa caratteristica mi sia entrata nel sangue anche se l’ho delineata in mille modi tra cui appunto la danza, il canto, la musica leggera… Tutte le forme di musica sono per me fonte di gioia e di consolazione e mi rendo conto che, per esempio, non potrei guidare senza ascoltare musica, non potrei scrivere senza avere della musica in testa o senza mettere in loop uno stesso brano. Sono una fanatica della musica.”

Così come accade nei tuoi romanzi precedenti, sei sempre andata in controtendenza rispetto ad altri scrittori tuoi coetanei. La passione per la Storia e l’attitudine all’approfondimento fanno parte di te o sono componenti che emergono solo quando devi scrivere?

“La passione per la Storia è arrivata tardi nel senso che al Liceo la vedevo un po’ come una materia mnemonica – troppi esami, troppe cose che dovevo imparare. Poi ho iniziato a considerarla una risorsa importantissima e adesso se c’è un libro storico o un film storico lo adoro. L’altro giorno ho avuto una recensione da Gian Paolo Serino che parla di metafiction, cioè trovare una storia vera e poi tramutarla in romanzo. Mi ha un po’ aperto un mondo, nel senso che ero indecisa su cosa scrivere dopo ma penso che la Storia mi appartenga più che mai. Mi piace la ricerca di cosa veramente è accaduto per poi romanzare e sono contenta di aver trovato un tassello in più nel mio percorso da scrittrice.

Sì, c’è la passione per la Storia e anche per l’approfondimento: quest’ultimo deriva da una “pesantezza” che mi appartiene, nel senso che io rimugino tantissimo sulle cose.”

Qual è il pubblico di lettori che ti piacerebbe leggesse L’orchestra rubata di Hitler?

“Sicuramente vorrei un pubblico che abbia voglia di emozionarsi. È una storia che, mi hanno detto, regala tante tante emozioni in tanti momenti e quindi mi piacerebbe un pubblico coraggioso e non un pubblico che voglia mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi.

È un libro rivolto al femminile ma a me piacerebbe ampliare questo aspetto: può interessare anche un pubblico maschile come in effetti sta accadendo. Mi piacerebbe tantissimo un pubblico di ragazzi, magari proprio nell’età in cui io odiavo la Storia per fargliela amare in più, per far andare a leggere questa parte cruenta anche che forse è quella che tutti attendono ed è quella che al Liceo si fa un meno perché il programma è molto vasto. E poi in controtendenza, siccome io ho questo vuoto, questa mancanza di mia nonna, mi piacerebbe che ci fosse un pubblico di persone anziane che dicano la loro. Mi piacciono le critiche, non mi spaventano. Se la letteratura fa ancora riflettere vuol dire che arriva ancora a noi. Ed è molto importante.”

Rossella Montemurro

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