sabato, 20 Aprile 2024

“Dovevo ammetterlo, Abel era cambiato. E cause di questo cambiamento io non ne vedevo. Ho cominciato a capire che quel mistero in lui che mi aveva tanto affascinato era in realtà una spaccatura, della collera acciambellata nel profondo, che si rialzava alla minima contrarietà. Un fiume oleoso in cui scorrevano blocchi di amarezza e risentimento, che non obbediva a niente, si gonfiava e travolgeva ogni cosa al suo passaggio.

Avevamo lasciato tutti i nostri amici, tutti i “parassiti” che tanto lo innervosivano. Mi ero adattata ai suoi gusti, che si trattasse di arte, di musica, di letteratura, di cucina o di politica.  Era sempre talmente intelligente allorché criticava un libro o un compositore che non c’era motivo di non condividere la sua opinione. Per questo lo ammiravo. Ancora.”

Cecilia lavora come avvocato in un importante studio legale. È una donna sicura, stimata, riscuote successo sul lavoro.

Cecilia è una donna abusata psicologicamente e picchiata dal marito. Si sono sposati pochi mesi dopo essersi conosciuti e pian piano lui è riuscito ad allontanarla dagli amici, denigrandoli, e dai genitori. Abel, l’uomo della sua vita, così colto e quasi in controtendenza rispetto agli altri uomini, si è rivelato un violento manipolatore. Ma Cecilia, prima di accettare la realtà, dovrà passarne tante, troppe.

La Cecilia brillante avvocato e la Cecilia vittima di violenza sono la stessa persona: è impietoso e assolutamente autentico il ritratto di Yolaine Destremau in La malaintesta (Barta, traduzione di Marta Giusti, in Francia Premio dell’Héroïne engagée 2022). Un romanzo che a tratti è come un pugno allo stomaco per quanto riesce a insinuarsi nelle pieghe della violenza domestica, un fenomeno quanto mai trasversale e indipendente dallo status e dall’età.

Cecilia, regina del foro, si ritrova stesa su un letto d’ospedale. Ha fratture multiple, costole incrinate, ferite alla testa. Sotto morfina per alleviare il dolore, non ricorda che cosa le sia successo. Il marito sostiene che è inciampata su un tavolino del soggiorno. Che è un’alcolizzata, che spesso urta i mobili, cade. Prima di quell’episodio, l’ennesimo, Cecilia si era rivolta a psicologi – certa che fosse lei il problema, in una continua spirale di colpe – aveva provato a confidarsi con un’amica ritrovata dopo anni e, per lei era un’ultima chance, è andata in un commissariato di polizia dove le hanno chiesto di tornare il giorno dopo perché era l’orario di chiusura. Alle spalle ha una famiglia modello, una mamma e un papà ancora innamorati. Lei stessa è vissuta accarezzando il mito dell’amore romantico ed è rimasta cieca di fronte ad Abel e alle prime avvisaglie di una relazione malata. Ha continuato a negare, offrendogli in continuazione altre possibilità: del resto lui, come tutti gli aguzzini, era così convincente, riusciva sempre a farsi perdonare. Ogni volta sarebbe stata l’ultima. Invece, c’erano sempre buone ragioni per gridare e alzare le mani, anche se nel frattempo erano nate due figlie – e lui voleva un maschio…

Di pari passo con la storia personale, terribile, di Cecilia, c’è quella di Frank Laurent, un suo cliente accusato di aver raggirato una coppia di anziani; è un personaggio secondario che avrà una parte rilevante affinché Cecilia si scuota.

L’epilogo è inaspettato, ed è probabilmente il migliore possibile.

Yolaine Destremau, dopo un’infanzia nomade tra l’Africa del Sud, l’Argentina e le estati in famiglia a Cognac, oggi divide la sua esistenza fra Parigi e Lucca. Per una decina d’anni è stata pittrice, poi si è consacrata interamente alla scrittura. Autrice di otto romanzi, tradotti in svariate lingue, con Barta ha pubblicato Le ribellioni (2015) e La casa di Cognac (2018) e ha in stampa anche Il rumore bianco.

Rossella Montemurro

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