lunedì, 7 Ottobre 2024

Nella storia dell’umanità le epidemie hanno avuto un ruolo rilevante sia sul piano sanitario che su quello economico e sociale.

È interessante sapere come i nostri predecessori hanno affrontato le varie epidemie, ad esempio la lebbra.

Sicuramente l’epidemia più inumana che l’uomo ha combattuto è stata proprio la lebbra.

Già nell’Antico Testamento si parla di questa epidemia.

Per prima cosa chiariamo che la piaga della lebbra era un’impurità piuttosto che una malattia.

Non ci sono notizie certe se la lebbra fosse presente tra gli ebrei già durante la loro residenza in Egitto o dopo.

Il sacerdote doveva decretare un giudizio se c’era qualche segno sospettoso di lebbra nelle vecchie ferite.

Quando il sacerdote aveva pronunciato il nome lebbroso impuro, questi veniva estraniato dai suoi affari nel mondo, dai suoi amici e parenti e perdeva ogni agio che poteva avere nel mondo. Egli doveva umiliarsi sotto la mano potente di Dio non insistendo sulla sua pulizia, una volta che il sacerdote lo aveva dichiarato impuro, ma accettandone la punizione.

Gli indumenti sospettati di contaminazione della lebbra non dovevano essere bruciati immediatamente. Se, dopo una ricerca, si trovava una macchia di lebbra, dovevano essere bruciati, o almeno bisognava separarsi da essi. Se, invece, erano senza contagio, dovevano essere lavati e quindi si potevano riutilizzare.

La lebbra per i suoi caratteri di malattia disgustosa appariva come malattia carico di mistero con origine soprannaturale.

Veniva evitato il contatto con la cute, perché considerato contagioso.

La separazione dal mondo dei sani avveniva per adunate spontanee, successivamente vennero espulsi dalla società.

Ai lebbrosi veniva data una tunica ed un campanello che serviva per avvisare “gli altri” della loro presenza.

Sembrerebbe che nel Tredicesimo secolo in Europa vi fossero 19000 luoghi di segregazione per lebbrosi.

L’assistenza ai lebbrosi veniva concepita come opera di carità e dovere cristiano da parte sia dei religiosi che dei laici.

Bisogna ricordare in modo particolare Santa Elisabetta d’Ungheria che si dedicò fin dall’antica giovinezza a opere di carità a favore dei poveri e dei malati di lebbra.

Per questo la onoriamo come protettrice dei lebbrosi.

Nel 1873 il medico norvegese Gerhard Armauer Hansen (1841-1912) scoprì che la malattia è causata da un batterio.

Non possiamo non ricordare Damiano de Veuster conosciuto anche come Padre Damien proclamato beato nel 1995 da papa Giovanni Paolo II e santo da papa Benedetto XVI l’11 ottobre 2009.

Missionario nell’isola di Molokai, nelle Hawaii, si dedicò particolarmente alla cura dei malati di lebbra.

Ho presentato tutti gli anni ai miei alunni questa figura.

Il primo impatto con la realtà di Molokai fu terrificante: non esisteva nessuna legge, donne e bambini erano costretti alla prostituzione, i malati venivano abbandonati senza cure in una specie di ospedale dove i medici erano lebbrosi a loro volta, i morti erano lasciati insepolti.

La prima cosa che fece Damiano fu di costruire una chiesa.

Nel dicembre del 1884 padre Damiano, mettendo a bagno i suoi piedi nell’acqua calda, non poté sentirne il calore: si accorse così di aver contratto la lebbra.

Padre Damiano morì di lebbra nel 1889, all’età di 49 anni: fu prima seppellito a Molokai. Fu riportato in patria soltanto nel 1936 dalla goletta Mercator e il suo corpo fu trasferito a Lovanio (Belgio) vicino al villaggio in cui nacque.

Nicola Incampo

Responsabile della CEB per l’IRC e per la pastorale scolastica

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